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Donne al potere mondo migliore?
di
Rossella Ahmad
Circola ancora, nonostante le evidenze contrarie, la storiella vetero-femminista secondo cui se ci fossero più donne al potere il mondo sarebbe un posto migliore in cui vivere, proliferare, moltiplicarsi.
Questa cosa mi piacerebbe molto, nel senso che mi lusingherebbe molto se fosse vera, mentre invece è una sciocchezza pazzesca, alla Fantozzi.
Chi lo dice non so in quale mondo sia vissuto finora. Certamente, se ha condiviso con noi la cronologia esistenziale che dalla nascita lo ha portato sin qui, deve aver guardato molto al suo ombelico e pochissimo alle vicende politiche ed umane succedutesi tra la fine di un secolo e l'inizio di un altro.
In caso contrario, si sarebbe accorto/a dell'esistenza di una verità profondissima, incontrovertibile, eterna: nelle questioni di potere non esiste genere. Dinanzi alle lusinghe del potere e della gloria effimera non esistono uomini e non esistono donne. Dubito che esistano persino volti, e comunque non è il volto né il genere che interessa al manovratore, bensì il grado di obbedienza, acquiescenza, adesione ai dettami dell'impero.
Per la verità, ho visto più dissidenti in giacca e cravatta che in tubino, ultimamente. E mi duole doverlo ammettere e dover constatare che le donne in politica hanno fatto e fanno esattamente quello che ha fatto e fa la loro controparte maschile. E ciò per un semplice, banale motivo di psicologia spicciola.
Personalmente non ritengo che la femminilità e la mascolinità siano costrutti culturali. Sono tra l'altro mamma, ho avuto modo di notare l'incontrovertibile esistenza di comportamenti innati. E mi fermo qui, non intendo addentrarmi in una questione che non è l'oggetto di questa riflessione.
Se le caratteristiche innate o i costrutti culturali ci vogliono sensibili ed empatiche, dovremo dimostrare di non esserlo e di guadagnarci sul campo il nostro diritto a "fare cose da maschi". Si tratta di forzature grottesche, cerebrali, nell'adeguarsi ad una aspettativa a sua volta stereotipata, poiché non è assolutamente vero che la virilità implichi l'insensibilità.
E davvero non riesco a pensare a nulla che sia meno femminista di questo tentativo di mascolinizzarsi seguendo uno stereotipo un po' primitivo, sicuramente fuorviante.
Mi sovviene la considerazione credo di Moravia a proposito ad esempio delle torture cinesi, per antonomasia le più crudeli mai realizzate e paradossalmente ideate da uno dei popoli più cortesi della terra. La conclusione di Moravia era che un popolo di gente mite doveva impegnarsi moltissimo per fare cose da "cattivi'. E questo impegno scientifico, razionale, cerebrale è alla base della creazione del più raffinato e perfido sistema di torture mai concepito.
Un po' come i "femminielli" della mia città: non propriamente donne, si propongono come una macchiettistica forzatura del femminile. Una iperbole, quasi. Una caratterizzazione innaturale, esagerata e proprio per questo, stridente.
Guardo le donne nelle posizioni di potere, o desiderose di scalarne le vette. Le osservo nella loro maniera di (non) approcciarsi ad un genocidio che ha l'aggravante dell'infanticidio perpetrato con una crudeltà mai sperimentata prima. E l'immagine che ne ricavo è ripugnante.
Dalla baronessa cotonata alla "pesciarola" delle borgate, dalle brune di cortile Kamala Harris e Nikki Haley alla psicopatica di Downing Street - quella che sognava di pigiare il pulsante nucleare contro la Russia - fino alle vecchie guardie anglosassoni e statunitensi sterminatrici di molti paesi mediorientali e di molti innocenti, vedo un fiorire incontrastato di putridume senza genere.
Ma soprattutto senza anima, che è molto peggio.
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