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08 luglio 2025
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In Italia quando parleremo di Rab (Arbe)?
di Rinaldo Battaglia *

Documenti provano che già dal giorno 8 luglio 1942, per il massacro di Podhum, l’Alto Commissario del Fascio Temistocle Testa aveva programmato e ordinato tutto, scegliendo luogo, orari e soprattutto gli uomini. Anche nei minimi particolari. Pur essendo lui ‘uomo di pancia’ più che acuto ragionatore. Tutto deciso e precisato: sia la lista delle vittime, sia l’elenco dei carnefici a cui ricorrere. E molti di loro finiranno in un altro elenco, sebbene postumo: quello dei criminali di guerra.

Una squadra di soldati venne – subito - mandata ad informare il villaggio che lì, da quelle parti, si calpestava ancora una terra del Regno d’Italia, si viveva ancora in una colonia del fascismo, per quanto periferica. Vennero affissi manifesti ed avvisi di carta, dov’erano descritti, in perfetto italiano, i doveri essenziali ‘dell’occupato’, riprendendo i dettami della Circolare 3 C di Roatta. Era operativa dal 1 marzo, ma dopo 4 mesi non tutti gli slavi - in quanto razza inferiore – non avevano ancora compreso, per bene, il suo alto valore patriotico.

Sui muri di alcune case di Podhum, soprattutto le più laterali del villaggio, come fossero i confini tra chi doveva vivere e chi morire, vennero poi scritte, con calce bianca, frasi inneggianti a Mussolini: ‘Vincere e Vinceremo’ o ‘Viva il Duce’ che tradotto nel lingua dei nativi stava a dire ‘perdere e perderete’. Che poi fosse la vita o la dignità non era scritto.

Di certo non la libertà, avendola già persa dopo l’invasione del 6 aprile dell’anno precedente, qui come in tutti i villaggi del Gorski Kotar (Cattaro), dalle spalle di Fiume fino alle rive del Kupa. Era diventata questa, da allora, una delle province tra le più estese del Regno di Vittorio Emanuele: bella soddisfazione per Fiume, che non era neanche stata assegnata all’Italia negli accordi di Versailles. Bella soddisfazione essere tra le più grandi province italiane, ma col difetto – secondario se vogliamo - che il 90% della sua popolazione non fosse italiana ma slava, croata soprattutto o slovena verso nord.

Scrivere sui muri significava marcare il territorio, come si comportano ancor’oggi i cani di casa, quando fanno i loro bisogni e lasciano gli odori più infimi quale monito al vicino. Che di solito non gradisce e talvolta contraccambia. Ma stiamo parlando di cani, di animali. Non di uomini.

Ma fu la scelta dei ‘carnefici’ su cui Testa non poteva sbagliare e così decise, con la massima cura ed attenzione, ‘il meglio del peggio’. Temistocle Testa era ‘uomo di fiducia’ del Duce, ‘culo e camicia (nera) ’ sin dalla marcia su Roma.

Il 25 maggio - 45 giorni prima del massacro di Podhum - quando Mussolini venne nella sua Fiume per incontrare Roatta e i Vertici Militari, ricevette molti complimenti e meriti, per quanto aveva già realizzato - nella sua Dalmazia – sin dal mese di aprile. Si parlava dello “sgombero di intere popolazioni” tramite la distruzione di villaggi, tramite fucilazioni e internamenti o deportazioni di massa.

Ma il Duce dette, in quell’occasione, ai suoi figli prediletti anche precisi ordini per il futuro: ”la migliore soluzione si ha quando il nemico è morto. Occorre quindi poter disporre di numerosi ostaggi e applicare la fucilazione tutte le volte che ciò sia necessario”.

Una pazzia quella del Duce che avrebbe insanguinato quelle terre per molti anni a venire. Una pazzia. Aveva davvero ragione Cicerone quando diceva che ‘più la caduta dell’impero si avvicina e più le sue leggi sono folli’. Come non condividerlo? “Occorre quindi poter disporre di numerosi ostaggi e applicare la fucilazione tutte le volte che ciò sia necessario”. E il padrone di Fiume – da buon allievo – raccolse la richiesta del Capo con la bava alla bocca.

Non solo, sempre in quell’incontro il gen. Roatta, ‘numero uno’ della ‘SuperSloda’ (dove SLO sta per Slovenia, DA per Dalmazia...SUPER forse si riferisce alla violenza usata) geloso del potere e timoroso che altri, come Testa, gli rubassero parte della scena, andò oltre. A suo dire bisognava subito “chiudere la frontiera con la (nuova) provincia di Fiume e con la Croazia, sgomberare tutta la popolazione che abitava ad oriente del vecchio confine, sgomberare tutta la regione per una zona di profondità variabile da 3 a 4 chilometri”. Mussolini applaudì, aveva seminato veramente bene in quegli anni. I suoi uomini erano più fascisti di lui e sottoscrisse “nel concetto di internare molta gente – anche 20-30.000 persone”.

Il 25 maggio 1942, venne così dato il via alla costruzione e messa in funzione di una serie di campi di concentramento. Obbiettivo iniziale: capienza almeno per ventimila persone. Fino all’8 settembre del ‘43 ne risulteranno operativi oltre 200, distribuiti correttamente in tutta la penisola e territori occupati (senza tener conto dei ‘sotto-campi’ o dei ‘campi di transito’). Raccoglieranno centinaia di migliaia di deportati. Non vi sono dati precisi nè statistiche complete. Durante il fascismo si era bravi a scrivere ‘Viva il Duce’ sui muri, non a registrare il numero dei candidati alla sofferenza e alla morte nei nostri lager. Ci mancherebbe!

Già il termine lager, stona ai più: troppo straniero, meglio ‘campo di raccolta e di internamento’. Le parole contano. Non solo: Testa era sempre stato un ‘fascista precursore’, che anticipava i tempi e che puntava davvero molto sulla pancia o l’istinto. Aveva già previsto tutto, sin dalla sua ordinanza del 24 aprile’42, quando l’esercito italiano venne autorizzato ‘a compiere rappresaglie sugli ostaggi e sulla popolazione civile del territorio’.

Ora era tutto più facile: 5 giorni dopo l’incontro col Duce, come non bastasse, con l’ordinanza successiva del 30 maggio rafforzò quegli ordini e “in virtù dei poteri conferitigli dal R. D. Legge del 18 maggio 1942-XX n. 452 per i Territori Aggregati alla Provincia di Fiume”, rese pubblico con numerosi manifesti di aver fatto eseguire ‘l’internamento nei campi in Italia di un numero indeterminato di famiglie di Jelenje (3 km da Podhum) dalle cui abitazioni si erano allontanati giovani maggiorenni senza informare le autorità”. E ovviamente di voler proseguire.

Alcuni avvisi di inizio giugno ripresero il concetto, affinché i destinatari - per quanto limitati a livello intellettivo essendo, come noto, per definizione fascista ‘razza inferiore’ - riuscissero a capire: “in data odierna sono state rase al suolo le loro case, confiscati i beni e fucilati 20 componenti di dette famiglie estratti a sorte, per rappresaglia”.

E si precisava con cura il nome del villaggio che aveva ‘vinto’ il premio, per non lasciare dubbi di inadeguatezza o impreparazione militare. Poi... ‘l’estrazione a sorte’ esaltava le capacità giudiziarie di chi giocava nella squadra rappresentante, per definizione fascista, della ‘razza superiore’.

Lo storico Amleto Ballarini, peraltro nativo di Fiume e poi vittima dell’esodo ‘giuliano dalmata’ del 1947 e profugo a Roma, nel suo “Le vittime di nazionalità italiana a Fiume” ne parla in maniera molto esaustiva.

Ma il Duce non era soddisfatto. A giugno avanzato, Mussolini ritornò sull’argomento coi suoi ‘bravi’, bisognava far di più e reprimere maggiormente la popolazione “con il ferro e con il fuoco. Deve cessare il luogo comune che dipinge gli italiani come sentimentali incapaci di essere duri”. “Con il ferro e con il fuoco”: era il giugno’42.

Del resto il Duce e il gen. Roatta, tramite la Circolare 3C del 1 marzo’42 , garantivano già la totale immunità ex-post ai propri subalterni. In altre parole, se qualcuno avesse commesso ‘eccessi’- parole dello stesso Roatta – sarebbe stato ‘esaminato’ caso per caso: ‘non intendo fare il processo al passato e non ho neppure l’intenzione di legare le mani ai comandati”. In altre parole: carta bianca.

Alle stesse conclusioni, in Italia, sarebbe arrivato l’uomo forte di Hitler – il feldmaresciallo Kesselring – il 17 giugno 1944. In una sua circolare - clonando la nostra 3C - Kesselring stesso ‘garantiva l’impunità ai comandanti impegnati nella repressione delle bande (partigiane) per eccessi eventualmente commessi sulla popolazione civile’. I massacri nel centro-nord Italia dell’estate ‘44 trovarono lì la loro origine naturale.

Questo era il fascismo di Mussolini nelle terre, da noi invase. I nazisti di Hitler fecero lo stesso ma due anni dopo, nelle nostre terre, da loro invase. Due anni dopo, però, sempre per la solita legge che il fascismo venne prima del nazismo. Del resto da sempre, in natura, prima nasce il padre poi il figlio. Non viceversa. “Con il ferro e con il fuoco”: era il giugno’42.

Questa volta rispose lo stesso Testa, per la legge che non voleva esser secondo a nessuno, agli occhi del suo Duce. A suo dire, l’occupazione italiana dei ‘suoi’ territori era ‘il più efficiente esempio di colonizzazione (…) di un popolo che ogni giorno di più sta dimostrando di essere quello che è sempre stato, cioè una razza inferiore che deve essere trattata come tale e non da pari a pari”. Così almeno nella provincia di Fiume, stava ora a Roatta e Robotti replicare per non perdere ‘appeal’ verso il Duce.

Perchè se in Slovenia (e Lubiana) in primis Robotti aveva creato la ‘cintura’, nel suo territorio Testa si era invece specializzato nelle imponenti “rappresaglie sui familiari di latitanti ribelli”. Il suo marchio di fabbrica.

Del resto cos’è il fascismo se non il metodico mancato rispetto delle regole, anche solo militari o di semplice convivenza?

8 luglio 2025 – 83 anni - Rinaldo Battaglia liberamente tratto da ‘A Podhum io scrivevo sui muri’ - ed. Ventus/AliRibelli – 2022

* Coordinatore Commissione Storia e Memoria dell'Osservatorio


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