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Il bambino orfano di Podhum
di
Rinaldo Battaglia *
Chi conosce Podhum e il suo massacro del 12 luglio 1942 da parte degli invasori italiani - il peggio del fascismo di allora - sa che in quella zona per anni si raccontava la storia di un bambino scampato all’eccidio. Avrà avuto quel giorno un anno, massimo due, e poi deportato in un nostro campo di concentramento nel sud Italia. Lì per la fame la madre morì, lasciandolo solo. Non aveva altri.
A guerra finita, venne assegnato assieme ad altri bambini orfani ad alcune famiglie slave di Fiume, sopravvissute alla guerra. E’ successo di frequente. La nuova famiglia gli volle sin da subito molto bene, lo inserì assieme agli altri figli, come uno di loro. Ma era sempre triste, sempre solitario e la nuova famiglia, pur sapendo ed intuendo le cause, cercò di aiutarlo, inventandosi di tutto, malgrado la miseria di quel post-guerra e di quel momento di tensione, per gli ‘esodi obbligati’ a cui erano condannati gli italiani. Fiume non era nel ‘47 o ‘48 molto diversa da Pola, Zara, Parenzo e le altre città ‘perdute’.
Un giorno lo accontentarono: aveva chiesto più volte di andare a Podhum, senza mai spiegarne il perché – avrà avuto allora 6-7 anni – e fino allora i ‘nuovi genitori’ avevano sempre declinato con delle scuse, per evitargli ulteriori sofferenze.
Appena giunti nella zona trovarono tutte le case ancora distrutte e diroccate, con erbacce alte dappertutto, quasi nessuno era ritornato ad abitarvi. Era un villaggio fantasma, forse abitato di notte davvero solo da mostri.
Il bambino si diresse di sua iniziativa verso una direzione ben precisa: la cava di Kikovica, sorprendendo tutti. Iniziò a girare, in continuazione, senza fermarsi mai. Piangeva e girava, piangeva e non si fermava.
La ‘nuova mamma’ addolorata, gli si avvicinò per calmarlo e fu sconvolta dalla parole del bimbo. Lui cercava suo padre, che da qualche parte dietro la cava stava dormendo. Erano molti anni che si era addormentato. La mamma, la vera mamma, gli aveva spiegato che non era tornato a casa, quel giorno, per quel motivo. E non avendo soldi, non avendo più il padre presente, sveglio e che lavorasse, erano stati costretti ad andare via lontano, lontano, dove forse qualcuno potesse aiutarli.
La madre era morta ugualmente, perché non avevano soldi a sufficienza per il mangiare e lui le aveva promesso – sul punto di morire - che sarebbe tornato a casa per trovare il padre. Lo avrebbe svegliato e così riprendendo a lavorare, avrebbe ricostituito la famiglia, ritornati nella loro vecchia casa, quella di cui sua madre sempre parlava con le lacrime agli occhi.
La felicità sarebbe tornata e la madre dal Cielo si sarebbe rallegrata e finalmente, finalmente sorriso. La ‘nuova mamma’ se lo strinse a sé e assieme piansero seduti sull’erba di Kikovica.
Il bambino divenne grande, si fece adulto, capì le cause del sonno del padre e la dolcezza, senza alcuna tinta di odio o rancore, con cui la madre gli aveva spiegato la causa delle loro sofferenze. Inizialmente, come ogni sopravvissuto di ogni eccidio, cercò probabilmente di dimenticare e cancellare l’orrore di quella domenica senza Messa e ma poi quando capì che non era tecnicamente possibile - perché così è - passò a testimoniarlo, a raccontarlo, a denunciarlo.
Ma senza astio e veleno, senza rabbia o istinti di vendetta; solamente perché altri non potessero più rivivere la sua vita, perché altri conoscendo il dolore di Podhum non ne provocassero di nuovo, lì e altrove.
Per molti anni - si dice da quelle parti – insegnò in una scuola di Fiume, con amore e massima passione.
E per alcuni quel bambino non era altro che Branko Cargonja, oggi che io sappia ancora in vita e fino a qualche anno – finché l’età lo ha permesso – guida e testimone per chi voleva conoscere quell’eccidio così criminale e tutta la vicenda nel suo complesso. E se non era Branko quel bambino di certo era un altro che aveva vissuto quel 12 luglio 1942 e quel massacro.
6 luglio 2025 – 83 anni dopo – Rinaldo Battaglia
Liberamente tratto da ‘A Podhum io scrivevo sui muri’ – ed. AliRibelli - 2022
* Coordinatore Commissione Storia e Memoria dell'Osservatorio
 
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