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06 luglio 2025
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Elon: suprematismo e apartheid in Africa, le radici del privilegio
di Soumaila Diawara

Le radici del privilegio: una dinastia costruita sul sangue, sul silenzio e sulla nostalgia dell’apartheid.

C’era una volta una famiglia che non fuggiva dalla guerra, né dalla fame. No. Fuggiva verso il privilegio. Aveva un piano: raggiungere una terra dove il colore della pelle garantiva dominio, non sopravvivenza. Dove nascere bianchi significava comandare, possedere, esistere al di sopra.

Il capofamiglia, Joshua Haldeman, non era un uomo qualsiasi. Chiropratico canadese, appassionato di aviazione, sì - ma anche fervente sostenitore dell’estrema destra.

Negli anni ’30 fu arrestato per simpatie filofasciste. Non un errore di gioventù, ma una convinzione ideologica profonda: quella dell’uomo bianco superiore, destinato a guidare le masse “inferiori”.

Sua moglie, Wyn Haldeman, tedesca, non era da meno. Nata in una famiglia di coloni tedeschi nella Namibia, all’epoca protettorato imperiale, proveniva da una stirpe che aveva tratto profitti diretti dal genocidio.

Sì, genocidio: il massacro degli Herero e dei Nama, tra il 1904 e il 1908, in cui furono sterminati decine di migliaia di africani. Avvelenamento dei pozzi, deserti trasformati in campi di morte, fame come strumento di sterminio. Fu il primo genocidio del XX secolo, e tra i carnefici c’erano anche i suoi antenati.

E quando il nazismo crollò e l’Europa mostrò la sua vergogna, Joshua e Wyn non cercarono redenzione. Scelsero l’apartheid. Si trasferirono in Sudafrica, attratti da un sistema che legalizzava la segregazione, che dava tutto ai bianchi e niente agli altri. Un’utopia razzista mascherata da ordine sociale. Fu lì che nacque Errol, il figlio della supremazia.

Cresciuto in un sistema che premiava il colore, non il merito, Errol divenne uomo nell’età d’oro dell’élite bianca. Partecipò a un’impresa redditizia: una miniera di smeraldi, situata tra Sudafrica e Zambia. Una miniera scavata da mani nere, sfruttate, dimenticate. Gli smeraldi venivano venduti al mercato globale. Il denaro, però, restava nelle mani bianche. Ma non solo pietre preziose: Errol commerciava anche cromo, un metallo indispensabile per l’industria mondiale, estratto tra abusi, miseria e sangue.

Nel 1971 nacque suo figlio. Un bambino bianco, ricco, nato a Pretoria, cuore pulsante del regime dell’apartheid, dove i neri non erano cittadini ma numeri, servi, forza lavoro senza voce.

Quel bambino non dovette attraversare deserti, né barconi. Non visse nei campi profughi, né affrontò i respingimenti. Si spostò da un continente all’altro con passaporti, valigie piene e conti bancari. Portava con sé un bagaglio invisibile, ma potentissimo: il privilegio ereditato dal colonialismo e dal razzismo legalizzato.

Negli Stati Uniti divenne l’uomo del futuro. Il visionario. L’imprenditore geniale. Il simbolo del “self-made man”. Ma quale self-made? Di che fatica parliamo, quando si parte con tutto?

Non si racconta che le sue fortune affondano le radici in miniere africane, in generazioni che hanno calpestato la dignità di interi popoli. Non si ricorda che fu la pelle bianca, non il merito, a spalancargli le prime porte.

E oggi, ironia amara, quello stesso uomo, Elon Musk, tuona contro i migranti. Vuole muri, respingimenti, blocchi navali. Lui, che da migrante bianco è stato accolto e protetto, ora alza barricate contro i disperati del mondo.

Ma non è tutto. In un crescendo grottesco, rivendica persino la “restituzione delle terre ai bianchi” in Sudafrica. Non parla di campi coltivati, ma di miniere, di diamanti, di carbone: ricchezze strappate alla terra africana con la violenza, e mai restituite. È il ritorno mascherato dell’apartheid. Un revisionismo pericoloso, sostenuto da frange estreme, nostalgiche di un’epoca di dominio razziale.

E allora chiediamoci: in quale Paese del mondo le miniere appartengono a privati cittadini? In quale costituzione democratica si legittima la rapina delle risorse collettive da parte di pochi privilegiati?

C’è chi dice che sia un miracolo americano. Ma nessuno ricorda che, se oggi è uno degli uomini più ricchi del pianeta, è anche grazie a Nelson Mandela. Perché Mandela, nella sua grandezza e nel suo desiderio di riconciliazione, non confiscò le ricchezze accumulate sotto l’apartheid. Nazionalizzò le miniere, sì, ma lasciò intatti i patrimoni sporchi del sangue africano.

Così si chiude il cerchio. Dalla Namibia coloniale alle miniere sudafricane, fino alla Silicon Valley: è una traiettoria disegnata dal privilegio, dal razzismo sistemico, dall’impunità dei potenti.

Il suo nome è Elon Musk.

E allora, prima di parlarmi di meritocrazia, fatica e talento, guardate bene da dove comincia la sua storia.

Perché quando si nasce con tutto, si può arrivare ovunque. Ma non si può, e non si deve, riscrivere la verità.


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