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06 luglio 2025
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La questione meridionale è viva più che mai
di Federica Borlizzi *

A marzo 2025, il Governo ha approvato un fantastico “Piano strategico per le aree interne”.

Un documento passato un po’ in sordina e che, solo negli ultimi giorni, è balzato agli onori della cronaca. Un documento pericoloso e violento, zeppo di retorica coloniale, antimeridionalista e classista.

Ma cosa sono le “aree interne”?

I comuni più periferici in termini di accesso ai servizi essenziali (istruzione; salute; mobilità) sono qualificati come “aree interne”. Queste ultime, al loro volta, si suddividono in ulteriori tipologie, sempre in base all’inacessibilità ai servizi (diritti?) fondamentali.

I criteri e le classificazioni sono stabilite dal “Comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile (Cipess)”. Nel 2020, la metodologia di definizione delle aree interne è stata modificata. In particolare, abbiamo:

1) I Comuni “Polo” o “Centri di offerta dei servizi”, ossia quanti (anche attraverso un aggregato di comuni confinanti, c.d. “Poli intercomunali”) siano in grado di offrire simultaneamente:
-un’articolata offerta scolastica secondaria superiore (presenza simultanea di almeno un liceo, un istituto tecnico e uno professionale);
-un ospedale sede di Dipartimento di Emergenza Urgenza e Accettazione (DEA) almeno di I livello;
-una stazione ferroviaria di livello Platinum, Gold o Silver.

Nel 2020 i Comuni “Polo” erano 241 (di cui 59 Poli Intercomunali)

2) La classificazione della restante parte dei Comuni avviene in base alla distanza dai “Comuni Polo”, con una distinzione in ulteriori 4 categorie:
a. Comune “Cintura”: distante 27 minuti dal Comune “Polo” (sono 3.828, il 48,4% del totale dei Comuni);
b. Comune “Intermedio”: distante 40 minuti (sono 1.928, il 24,4%);
c. Comune “Periferico”: distanti 66 minuti (sono 1.524 , il 19,3%)
d. Comune “Iper-periferico”: oltre i 66 minuti (382, il 4,8%)

Le Aree interne sono costituite dai Comuni classificati nelle ultime tre fasce, ovvero Intermedi, Periferici e Ultra-periferici e costituiscono circa la metà del totale dei Comuni italiani (48,5%, pari a 3.834)

Indovinate dove si concentrano le aree interne? Sono presenti in particolare nel Mezzogiorno (Sud + Isole) dove rappresentano:
-il 67% dei Comuni (75% nelle Isole);
-il 36% circa della popolazione (45% nelle Isole);
-il 70% circa della superficie dell’Area (72% nelle Isole).

Dal 2014 al 2020 la situazione delle aree interne è peggiorata, a causa della “contrazione delle strutture ospedaliere”, ossia della loro chiusura, che ha comportato una notevole diminuzione dei Comuni “Polo”, passati da 399 a 241. A dirlo è lo stesso documento governativo. [Il mio comune di residenza, Cxxxxxxx, è classificato come “Periferico”, distando circa 60 km dal Comune “Polo”, ossia Lecce. Eh sì, nella nostra provincia, solo il capoluogo ha i requisiti per poter avere questa qualifica. I comuni limitrofi possono ambire ad essere “Cintura”, per il resto cadiamo nell’estrema “periferia” dell’Impero]

Cosa prevede il progetto del Governo per le aree interne? La cosa inquietante è che, tra gli OBIETTIVI prefissati, si parla di:

1) Impossibilità di invertire la tendenza riguardante la popolazione: “La popolazione può crescere solo in alcune grandi città e in specifiche località particolarmente attrattive”.
Una bella narrativa urbana-centrica condita da “realismo statistico”, funzionale non solo al mantenimento dello status quo ma a trovare una giustificazione teorica ad una spietata politica di annientamento di tali aree.
Da qui, infatti, il progetto politico (cito testualmente):

2) “Accompagnamento in un percorso di spopolamento irreversibile”
“Un numero non trascurabile di Aree interne si trova già con una struttura demografica compromessa (popolazione di piccole dimensioni, in forte declino, con accentuato squilibrio nel rapporto tra vecchie e nuove generazioni) oltre che con basse prospettive di sviluppo economico e deboli condizioni di attrattività. Queste Aree non possono porsi alcun obiettivo di inversione di tendenza ma non possono nemmeno essere abbandonate a sé stesse. Hanno bisogno di un piano mirato che le possa assistere in un percorso di cronicizzato declino e invecchiamento in modo da renderlo socialmente dignitoso per chi ancora vi abita”.

Prima, creano le aree interne, sottraendo servizi fondamentali a metà dei Comuni italiani, la maggior parte -ovviamente- del Sud. Poi, decidono di attribuire una giustificazione “naturale” ed “irreversibile” allo spopolamento di quelle aree. Infine, assumono come precisa scelta politica quella di “accompagnarne il declino”, per rendere quelle zone terreno fertili per ulteriori processi di speculazione (parco giochi per turisti ricchi, stile "Borgo Egnazia"? monoculture in mano a multinazionali?).

Si tratta di un piano VIOLENTO, che nasconde le scelte storiche che hanno prodotto desertificazione sociale, migrazione forzata, sfruttamento sistemico.

La Questione Meridionale è viva più che mai. Ed oggi:
-è questione ecologica, perché riguarda il saccheggio delle risorse;
-è questione migratoria, perché parla sia di chi parte sia di chi arriva e viene sfruttato;
-è questione coloniale, perché i dispositivi che la governano sono quelli del dominio e dell’invisibilizzazione, di aree funzionali al progresso e all’accumulazione di altre ben più “sviluppate”.

Contro tutto questo, dobbiamo ripartire dal Sud, dalle sua aree interne, mettendo in discussione il modello stesso di accumulazione, di urbanocentrismo, di sviluppo. Al fianco di chi ci vive e di chi lotta in quei territori.

Che parta proprio da queste terre che vorrebbero sacrificare, la possibilità di immaginare un’altra società, fondata sulla giustizia sociale ed ecologica.

C’è tutto da politicizzare. E da ribaltare.

* Avvocata


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