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06 luglio 2025
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Ricordando il dottor Adnan al-Bursh
di Rossella Ahmad

Nel novembre dello scorso anno, lo ricorderete, Middle East Eye pubblicò un servizio di Sky News sul martirio del medico più amato di Gaza, il dottor Adnan al-Bursh. Gli ultimi giorni della vita di questo valoroso palestinese furono atroci. Ogni volta che ne ricordo le circostanze, ogni volta che mi appare il suo volto bello e sereno nonostante l'inferno in cui era rinchiuso, mi assale un irrefrenabile desiderio di vendetta nei confronti dei malnati che osarono tanto. Qualcosa di riferibile all'odio, senza dubbio.

Un sentimento umano troppo umano. Chi non sia d'accordo è pregato di specificare quali siano i sentimenti più pertinenti e giusti da riservare alle orde coloniali mitteleuropee di pervertiti che uccidono i palestinesi in Palestina, con sadismo e spietatezza, per appropriarsi della loro terra.

Questo è stato il destino di Adnan al-Bursh. Prelevato dall'ospedale in cui fino all'ultimo si adoperò per la cura dei poveri corpi martoriati che giungevano come ondate di sangue e membra spezzettate nei nosocomi ancora in piedi, denudato, bendato, sequestrato e trasportato prima nel campo di concentramento di Sde Taiman poi nella famigerata prigione di Ofer - da cui pochi escono vivi - stuprato con corpi contundenti e lasciato agonizzare nel cortile del campo di tortura, sino a che non sopraggiunse la morte.

Era la fine di aprile o l'inizio di maggio quando cominciò a circolare la notizia dell'assassinio del medico. Una stilettata glaciale lanciata con perizia nella cavità toracica, nel mezzo del cuore, avrebbe causato meno dolore, ricordo. Il soffocante senso di oppressione che ti spezza il respiro quando hai a che fare con un'ingiustizia troppo grande, che non riesci a gestire, elaborare, fartene una ragione. E che permane a lungo, potenzialmente per sempre, infido come due mani che ti stringono la gola non abbastanza forte da ucciderti ma abbastanza forte da troncarti il respiro un po' di più ad ogni ulteriore pressione , ad ogni stretta.

Lo stillicidio dei valorosi sanitari di Gaza continua. Ed il pensiero corre all'ultimo dei valorosi, il dottor Abu Safiya, di cui non si hanno più notizie dallo scorso dicembre.

Oltre 1100 i sanitari uccisi sinora, in spregio al diritto internazionale umanitario, il quale stabilisce che il personale medico è costituito da civili che svolgono una funzione critica in un momento di massima criticità e che per nessun motivo possono rappresentare obiettivi legittimi. Eppure l'assassinio dei sanitari palestinesi non ha suscitato alcuna eco nelle istituzioni mondiali, se si escludono poche e sparute iniziative individuali. Mancano i grandi numeri, le voci di peso...

Il sacrificio di un popolo si è consumato nel più vergognoso dei silenzi.

Restano poche immagini, quelle del dottor Al-Bursh e dell'ultimo medico di Gaza, Marwan al-Sultan, assassinato con l'intera famiglia pochi giorni fa. Li mostrano entrambi, pochi minuti prima di essere prelevati dall'esercito coloniale. Affidano al Grande Spirito la loro esistenza e testimoniano che hanno operato per il Bene. Dichiarano solennemente di andare via contro la loro volontà.

Resta l'ultima telefonata alla famiglia, strappata ad un tempo impietoso.

Adnan al-Bursh parla con sua moglie, i suoi figli. Attimi concitati prima che al-yahud - rassegnatevi, spaccatori di capelli 2.0 : per i palestinesi gli oppressori portano quel nome - lo facciano sparire in un buco nero di infamia:

- State bene? Siete tranquilli?
- Sì
- Yabba ye (invocazione palestinese di stupore, compiacimento). Dov'è Elen?
Dove sei Elen di papà? Mi manchi - Torna da noi, papà
- Certo. Domani torno. Prenditi cura della mamma.

Il suo corpo non è mai stato restituito alla famiglia

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