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Ucraina da denazificare
di Giacomo Gabellini
Nel dicembre 2023, il presidente Putin dichiarò che l’Operazione Militare Speciale sferrata nel febbraio dell’anno precedente in Ucraina si sarebbe protratta fintantoché la Russia non avesse conseguito i suoi obiettivi. Uno dei quali consiste nella “denazificazione” dell’Ucraina.
Si tratta di una finalità complessa, che esprime l’esigenza di porre rimedio a un processo di indottrinamento ideologico a cui, secondo il Cremlino, il Paese – e in particolare le istituzioni chiave – sarebbe stato sottoposto a partire quantomeno dal 2014.
In realtà, il revisionismo storico in Ucraina precede temporalmente gli eventi di Jevromajdan, come testimoniato dalla stampa di francobolli recanti l’effigie di Stepan Bandera disposta nel 2009 sotto la presidenza di Viktor Juščenko, o dalla rimozione di oltre un migliaio di statue di Lenin da circa 700 città e villaggi ucraini avviata nel dicembre 2013.
In loro sostituzione sono spesso comparsi monumenti intitolati a elementi come lo stesso Bandera, o da figure parimenti schierate ideologicamente quali Roman Šuchevyč, Jaroslav Stec’ko e Yevhen Konovalec’.
Negli anni successivi, si è assistito all’ascesa di organizzazioni politiche apertamente nostalgiche (Svoboda, Pravy Sektor, ecc.) e alla proliferazione di bande paramilitari della stessa ispirazione (Azov, Aidar, Dnepr, C-14, ecc.), la più nota delle quali – l’Avoz – è stata perfino integrata nelle forze armate, come reggimento della Guardia Nazionale.
A ben guardare, però, la rivalutazione di da parte dell’Ucraina di personaggi storici con alle spalle trascorsi alquanto “problematici” può essere ulteriormente retrodatata allo scioglimento dell’Unione Sovietica.
 
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