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30 giugno 2025
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La scelta giusta è possibile
di Rinaldo Battaglia *

"La colpa di cui si macchiarono i soldati tedeschi che parteciparono alla strage di Civitella diventa ancora più lampante davanti a esempi come quello del colonnello Maximilian Von Gablenz, che dimostrano che un comportamento corretto era possibile. Bastava ascoltare la coscienza e fare la scelta giusta."
È parte di un discorso di Viktor Elbling, Ambasciatore della Repubblica Federale di Germania, relativo al 2018.

Discorso molto importante e che risponde ad una domanda profonda: durante la guerra, come la guerra nazifascista in Italia dopo l’8 settembre 1943, si potevano evitare le stragi di innocenti che oggi noi conosciamo? Esisteva un confine tra essere criminali e uomini d’onore, tra il portare una divisa da alto ufficiale e il diventare feroci assassini?

Esisteva ed esiste un confine? Esiste perché la domanda risulta di forte attualità, viste le guerre oggi in corso in questa pianeta allo sbando e totalmente privo, peggio, di memoria storica. Esiste un confine? Si poteva e si può “ascoltare la coscienza per fare la scelta giusta”?

E domandarselo oggi, in questi giorni di fine giugno 2025, 81 anni dopo i massacri tra Val di Chiana e Val d’Ambra, credo sia opportuno se non moralmente ed eticamente necessario.

Solo il 29 giugno 1944, una domenica di festa peraltro, reparti di soldati tedeschi, affiancati e guidati dai fascisti della GNR, in poche ore massacrarono 244 persone: 115 a Civitella, 71 a San Pancrazio, 58 a Cornia. Tutti civili e soprattutto donne e bambini.

“A Civitella e a San Pancrazio, i nazisti misero in atto una liturgia del sacrificio umano sperimentata anche alle Fosse Ardeatine che consisteva nel mettere in fila gli uomini e sparare loro un singolo colpo alla nuca” (come scriveva lo storico Giovanni Romanelli in ArezzoNotizie il 23 giugno 2020).

A Cornia invece, piccolo paesino rurale posto tra i boschi, fu azione di puro sterminio. “Un tiro al piccione per uccidere gli animali (maiali, muli, vitelli..), le donne (la maggior parte prima furono stuprate - una paralitica di 34 anni fu abusata davanti alla madre - e poi bruciate o dilaniate dalle bombe) e bambini (uno di pochi anni fu preso per i piedi e fracassato su di un muro)”.

Questa è la guerra, in qualsiasi guerra, in qualunque tempo. Ma esistono anche gli uomini, che sanno ‘ascoltare la propria coscienza’. Il caso del colonnello nazista Maximilian Von Gablenz ne è uno. E si svolse nello stesso momento e poco lontano da Civitella e San Pancrazio (una ventina di chilometri di distanza), grazie a dei 'militari', a dei soldati che restarono ‘uomini’.

Perché esiste un confine tra essere soldati ed essere uomini. Ma si può anche essere entrambi. La divisa e la coscienza possono benissimo coincidere e convivere. Basta volerlo.

Quel che vi racconto avvenne nell’aretino nella frazione della Chiassa. Poi, decidete voi se esiste o meno un confine. Lo storico Santino Gallorini soprattutto nel suo “I partigiani di vite in cambio” (ed. C&P Adver Effigi, 2018) ne parla in maniera dettagliata e bene documentata. Come pure Alvaro Tacchini (in “Guerra e Resistenza nell’Alta Valle del Tevere 1943-1944, Petruzzi Editore, 2016”).

Si deve sapere che la sera del 25 giugno 1944, una banda autonoma di partigiani slavi (comandati da un non bene identificato ‘Russo’) operante sulle montagne tra Arezzo e Anghiari, aveva attaccato una vettura tedesca a due chilometri ad est del passo della Libbia e preso prigioniero uno degli Alti Comandi nazisti in zona: il barone colonnello Maximilian von Gablenz, oltre al il suo aiutante (l’autista era deceduto cercando la fuga con l’auto). I due ufficiali vennero subito portati verso Toppole, nella casa colonica di Stabbielle.

Il comando tedesco di Arezzo organizzò – come era tipico fare - un immediato e feroce rastrellamento sui civili della zona. Vennero presi ed imprigionati nella Chiesa della Chiassa Superiore oltre 500 persone, gran parte donne, bambini, vecchi e contadini del posto. Come sempre, come altrove. Dopo ore, molte donne e i loro bambini vennero rilasciati ma, in Chiesa, rimasero prigionieri almeno altri 209 disperati. In rapporto - si può dire - di 1 tedesco sequestrato contro 100 civili italiani.

Il comando nazista puntava però alla liberazione del suo Kommandant e diramò un ultimatum: se entro il 28 giugno, entro 48 ore, non fossero stati liberati i due ufficiali quelle 209 persone sarebbero state fucilate senza alcuna esitazione. Non solo: i paesi di Anghiari, Montauto, La Chiassa e Borgo a Giovi sarebbero stati distrutti e bruciati totalmente.

Era la legge del più forte, era la legge del padrone nazista e del suo socio di crimini, il servo fascista.

L’ultimatum fece subito presa e la notizia arrivò dove doveva arrivare. Il responsabile partigiano di zona, il comando partigiano della XXIII brigata garibaldina Pio Borri, tra cui in primis il capitano Siro Rosseti, comprese immediatamente la gravità della minaccia. Ma quei due nazisti non erano nelle loro mani. Quella del ‘Russo’ era una banda indipendente, autonoma, che faceva la guerra per suo conto.

Bisognava trovarla e convincerla a liberare i due nazisti per salvare quei civili. E serviva tempo, molto tempo, ben più delle 48 ore accordate. Il capitano Rosseti scelse così uno dei suoi migliori uomini, di cui appieno si fidava: Gian Battista (Gianni) Mineo, un giovane (classe 1921) sottotenente e allora comandante del Gruppo X, composto da una ventina di partigiani.

L’obiettivo era chiaro: da una parte chiedere una dilazione della scadenza dell'ultimatum al Comando nazista e, dall’altra, rintracciare il "Russo", nascosto tra i boschi sulle montagne tra Arezzo ed Anghiari. Mineo raggiunse entrambi gli obbiettivi. I nazisti gli avevano concesso altre 24 ore (e quindi fino alle ore 14.00 del 29 giugno) non un minuto in più. Il ‘Russo’, raggiunto con difficoltà, alla fine comprese e convinto anche da alcuni suoi uomini, quali Beppone Livi, Giuseppe Rosadi della Chiassa, Altero Scimia e Bruno Zanchi di Anghiari, accettò il rilascio del colonnello Maximilian von Gablenz e del suo aiutante.

Solo che il tempo correva veloce e l’orologio dell’ultimatum stava per suonare l’ora finale. Non era facile arrivare in fretta alla Chiesa della Chiassa Superiore. Lo stesso colonello procedeva non troppo velocemente, forse causa dell’incidente con l’auto. Che fare allora?

Il nazista Von Gablenz decise così di scrivere un biglietto, dove ordinava ai suoi sottoposti di sospendere le fucilazioni in attesa del suo arrivo e lo consegnò a Gianni Mineo. Questi corse via in fretta, a più non posso, verso la Chiassa. Ma arrivò, sfinito ed esausto, poco dopo le ore 14,00 del 29 giugno, ossia ad ultimatum scaduto. I nazisti avevano già portato i primi prigionieri fuori dalla chiesa per fucilarli. Gridò, alzò il biglietto in alto, usò tutto il fiato che gli rimaneva in gola, per bloccare i primi spari. E così avvenne.

Poi arrivò il colonello von Gablenz e il suo aiutante, accompagnati dal partigiano del 'Russo', Giuseppe Rosadi. Arrivò e mantenne fede alla sua parola: se non lo avessero ucciso avrebbe ordinato immediatamente la liberazione di tutti i prigionieri. Senza nessun dubbio, senza nessun trucco.

Mentre a 20/25 km di distanza, Civitella, San Pancrazio, Cornia venivano insanguinate a morte e poi date alle fiamme, le campane della Chiassa suonarono a festa quella domenica e von Gablenz lasciò che Gianni Mineo e Giuseppe Rosadi ritornassero tra i partigiani, consegnando loro persino un lasciapassare. Lo aveva garantito.

Quel giorno Gianni Mineo salvò 209 persone ed un alto ufficiale nazista mantenne la sua parola.

Gianni Mineo vedrà la fine della guerra e morirà 40 anni dopo (20 aprile 1987) con la coscienza libera e l'anima di certo in pace. Il 28 giugno 2014 – nel 70° anniversario di quei fatti - la Provincia e il Comune di Arezzo, nella Piazza della Chiesa della Chiassa, gli hanno dedicato una lapide e intitolato a suo nome il locale Parco Pubblico con la motivazione "Salvò da strage nazista la popolazione della Chiassa".

Quattro anni dopo il Presidente Sergio Mattarella, il 16 luglio 2018, lo ha meritatamente onorato con la Medaglia di Bronzo al Valor Militare. Lo stesso dicasi per il partigiano Giuseppe Rosadi.

Il colonello von Gablenz, classe 1881, sopravviverà anch'egli alla guerra e alla disfatta del Terzo Reich, ma morirà presto già nel 1947.

Si potevano evitare – quindi – nell’Italia del dopo 8 settembre 1943 le stragi di innocenti che, oggi, noi conosciamo? Esisteva un confine tra essere criminali e uomini d’onore, tra il portare una divisa da alto ufficiale e il diventare feroci assassini? Esisteva ed esiste un confine? Esiste perché la domanda risulta di forte attualità viste le guerre oggi in corso in questa pianeta allo sbando e totalmente privo di memoria storica.

Sì, esiste un confine. Basta solo “ascoltare la coscienza per fare la scelta giusta”. Anche e soprattutto se porti una divisa, perché la divisa è solo un abito e troppo spesso sotto il vestito non c’è mai nulla. Il nulla.

30 giugno 2025 – 81 anni dopo

* Coordinatore Commissione Storia e Memoria dell'Osservatorio


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