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Femminicidio non è una moda: è un costrutto criminologico serio
di
Francesco P. Esposito *
E no, non nasce su TikTok.
Timeline da scolpire nella testa:
- 1976 – Diana E.H. Russell spara il primo colpo: femicide. Uccidere una donna perché donna. Non per gelosia, non per amore. Per dominio.
- 1992 – Lei e Jill Radford lo mettono nero su bianco: “Femicide: The Politics of Woman Killing”. Un pugno nello stomaco travestito da saggio.
- Anni ’90-2000 – Il termine entra nei radar della criminologia critica e del femminismo giuridico. Non più solo slogan, ma studio, dati, analisi.
- 2007-2010 – In Italia si svegliano. Grazie a Barbara Spinelli e altre, femminicidio diventa parola viva: non è più “delitto passionale”. È un sistema.
- 2012-2013 – Arriva la legge (DL 93/2013). L’Italia, con comodo, comincia a chiamare le cose col loro nome. Ma con comodo, prima che quelli con i capelli color topo morto in testa e le enormi panze sotto le cravatte si offendano (!).
Quindi?
Il femminicidio è un costrutto criminologico nato da anni di lotte e ricerca.
Non è una parola a effetto.
Non è l’omicidio “di una donna e basta”.
È l’uccisione che nasce da un sistema culturale di dominio e controllo sul corpo e sulla vita delle donne.
Se non lo raccontiamo così, allora stiamo solo riciclando la violenza con un vocabolario nuovo.
E moriranno - certamente - altre donne.
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* Criminologo forense, componente del Comitato tecnico-giuridico dell'Osservatorio
 
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