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Meloni, invece che ai romani antichi noi guardiamo ai costituenti
di Elisa Fontana
“La penso come i Romani, si vis pacem para bellum… anzi, se si hanno dei sistemi di sicurezza e di difesa solidi si possono più facilmente evitare conflitti”.
Eh no, Giorgina cara, potremmo anche finirla millemila anni dopo con questa insopportabile retorica del “si vis pacem…”. Innanzitutto perché il mondo in cui operavano i Romani è un mondo che non esiste più e non è minimamente paragonabile al mondo odierno, ma soprattutto per una semplicissima ma enorme differenza demografica.
Il mondo degli antichi Romani era un deserto, rispetto al nostro e cominciava e finiva praticamente nel Mediterraneo e dintorni. Anche una militante di Colle Oppio può comprendere che preparare la guerra in quel contesto nulla ha a che vedere con il mondo in cui ci troviamo a vivere. E che un politico degno di questo nome non si aggrapperebbe alle frasette fatte e rimasticate, ma capirebbe che oggi ci vuole ben altro.
Ci vuole innanzitutto “si vis pacem, para pacem”, ma non in uno sterile pacifismo da propaganda, bensì in una costruzione seria e indefessa di rapporti, relazioni, scambi che possano costruire ponti, che realizzino credibilità, che nobilitino la parola “politica”. Una realtà medio piccola come la nostra, quasi del tutto ininfluente sullo scacchiere mondiale può decidere o di aggregarsi supinamente a quello che al momento è considerato il più forte e seguirne pedissequamente orientamenti e indicazioni, oppure cercare di ritagliarsi un posto autonomo fatto soprattutto di credibilità.
Certo, non vivo nel Paese dei balocchi e capisco perfettamente che anche i sistemi di difesa siano necessari, ma la storia mi insegna anche, implacabile, che quando prepari la guerra avrai la guerra. E, dunque, questo eterno richiamo agli antichi Romani nel migliore dei casi mi sembra una rimasticatura di banalità di terza mano, nel peggiore una volontà decisa di riarmo nascosta dietro una ipocrita ricerca della pace.
Infine, vorrei ricordare alla nostra presidenterrima con velleità latiniste che quell’oggetto misterioso che è la nostra Costituzione, scritta in italiano qualche anno dopo la caduta dell’impero romano, non ci dice pedissequamente “si vis pacem para bellum”, ci dice che l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa agli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali.
Aggiunge anche, guarda un po’, che l’Italia può cedere parte della sua sovranità per aderire ad organizzazioni internazionali che promuovono pace e giustizia, perché questo deve essere il ruolo dell’Italia verso la costruzione di un mondo più pacifico. Che è esattamente quel che dicevo in apertura, il ruolo dell’Italia deve essere di costruzione di rapporti, relazioni, scambi, tutti volti ad una maggiore comprensione reciproca e alla costruzione di rapporti di fiducia che possano tornare utili in momenti di crisi.
E no, ho guardato ben bene ma in nessun angolo nascosto della nostra Costituzione c’è scritto “si vis pacem para bellum”, imperdonabile lacuna di quel manipolo di Padri costituenti che molto probabilmente ignorava totalmente quella frase topica che ancora oggi tanto affascina, contenuta sicuramente in qualche bignami. Quelli con la B minuscola. Se ne faccia una ragione, signora presidente, ma si vis pacem, para pacem, è un lavoro duro, ma va fatto.
Altrimenti riconosco che è molto più riposante mettersi sulla scia del pescecane di turno, ma allora lasci in pace gli antichi Romani, gliene saranno grati.
 
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