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Silenzio dei leader africani di fronte ai fatti globali complice e pericoloso
di Laurent Luboya
Il mutismo dei leader africani di fronte agli sconvolgimenti geopolitici globali: un silenzio complice e pericoloso.
Il mondo sta cambiando, si trasforma, si interrompe. Si formano nuovi blocchi, le alleanze stanno crollando e la carta geopolitica viene ridisegnata davanti ai nostri occhi. In questo tumulto globale, dove ogni voce conta per pesare nel nuovo ordine mondiale, l'Africa rimane stranamente silenziosa.
Questo mutismo, lungi dall'essere anodino, è una forma di complicità passiva, un abdicazione di fronte alle responsabilità storiche.
Come diceva Frantz Fanon:
"Ogni generazione deve, in una relativa opacità, scoprire la propria missione, compierla o tradirla." È ora di dare la sveglia!
Un tentativo di omicidio colpevole
Mentre le grandi potenze manovrano per imporre i loro interessi, l'Africa, ricca, giovane, strategica, rimane congelata. Dove sono le voci coraggiose per difendere la nostra sovranità? Chi oserà dire no alla strumentalizzazione dei conflitti, basi militari straniere, dittature economiche imposte da istituzioni internazionali scollegate dalle realtà africane?
Thomas Sankara aveva ragione:
"L'Africa deve affermare la propria identità e sovranità, altrimenti continuerà ad essere una colonia economica, politica e culturale."
Questo silenzio non è diplomatico. E' politico. Ed è pericoloso.
L'ombra persistente del dominio
Il nostro continente non sarà libero finché i suoi leader non tremeranno all'idea del dispiacere a Washington, Bruxelles o Pechino. Finché le scelte economiche, militari o anche sanitarie vengono dettate dall'esterno, ogni postura di neutralità diventa una forma di sottomissione.
Kwame Nkrumah stava già ricordando:
"L'unità africana è la base stessa della nostra liberazione politica ed economica."
L'Africa non può continuare a piegare la curva sperando in qualche briciola di investimenti o aiuti condizionati.
Un silenzio che emargina ed è fragile
Tacendo, i nostri leader condannano il continente a rimanere una pedina. Mentre le grandi potenze costruiscono il mondo di domani, noi aspettiamo, impotenti, a volte consenzienti spettatori.
Aimé Césaire ci ricorda:
"La negrità non si esprime solo nell'arte e nella letteratura, ma anche nella politica che si rifiuta di dominare."
Questo è un suicidio diplomatico collettivo.
Il tempo è per l'affermazione, non per la presentazione.
Non vogliamo più leader che gestiscano l'urgenza senza pensare al futuro. Chiediamo una diplomazia panafricana senza complicazioni. Una diplomazia che rifiuta assistenza, che sfida le interferenze, che difende gli interessi dei popoli, non delle élite.
Nelson Mandela ci esorta:
"La libertà ha senso solo se include libertà per gli altri."
L'Unione africana deve smettere di essere un club di Stati compiacenti per diventare strumento di lotta e dignità.
Morale della favola: svegliamoci!
Il mondo si muove. Se restiamo in silenzio, verremo spazzati via. La storia non perdonerà chi, per vigliaccheria o conforto, lascia andare un'Africa forte e sovranista.
La parola è un'arma. È tempo che le voci africane risuonino con forza, rabbia e convinzione. Il futuro non ha fretta. Lui conquista sé stesso.
 
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