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21 giugno 2025
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Ordini professionali fra discorsi di odio e atti di umanità
di Giuseppe Franco Arguto

Vittorio Feltri viene sospeso per alcuni mesi dall'ordine dei giornalisti per aver detto pubblicamente che "i musulmani sono una razza inferiore".

Da un'altra parte dello Stivale, un avvocato difensore dell'anarchico Cospito, in carcere in regime di 41-bis e sotto processo, viene segnalato all'ordine degli avvocati per essersi permesso di salutare il suo assistito con una stretta di mano e due baci sulle guance del detenuto.

Feltri non ha dimenticato che esiste una sola razza; lui ha dimostrato più e più volte di essere un razzista, omofobo, xenofobo e misogino. Il suo è uno dei tanti incitamenti all'odio razziale che sono decenni che vengono veicolati da taluni quotidiani.

D'altro canto, ritenere che un avvocato, impegnato nella difesa di un detenuto, non abbia osservato alcune regole deontologiche per il fatto di avere salutato amichevolmente una 'persona', dice molto sul clima che si respira nei tribunali; ma è tutto il sistema giudiziario e penitenziario che per me è ai limiti del tollerabile; neanche nel paese più arretrato del cosiddetto terzo mondo si ammetterebbero certi fenomeni.

Più che ordini professionali li definisco "dispositivi di chiusura sociale”, in parole più semplici, veri e propri clan, dove si annida una cultura spesso mafiosa.

Nella prospettiva di Max Weber e di Parkin, gli ordini (avvocati, medici, giornalisti) garantiscono monopolio d’accesso a un “mercato” di prestazioni attraverso norme deontologiche e potere disciplinare. Questa chiusura protegge la qualità del servizio, ma produce anche rendite di posizione e può degenerare in corporativismo – l’“habitus di clan” di cui accennavo prima.

Lungi da ogni retorica anti-élite e il rischio di un anti-intellettualismo tout court, osserverei alcuni aspetti salienti dei due casi posti alla vostra attenzione.

Nel caso Feltri non si può parlare di libertà di espressione, perché la libertà di parola non deve arrecare danno ad alcuno; definire un gruppo «razza inferiore» lede un bene collettivo e rientra nel "linguaggio d'odio", legittimando la reazione dell'ordine professionale; tuttavia, non è la prima volta: perché non viene radiato dal servizio pubblico?

Habermas ricorda che lo spazio pubblico necessita di regole discorsive: l’ordine dei giornalisti agisce (almeno teoricamente) per preservare la “competenza comunicativa” del giornalismo.

Nel caso dell’avvocato, la sanzione appare invece come un eccesso securitario: biopotere foucaultiano che sorveglia perfino i gesti d’affetto, riducendo il detenuto a corpo nemico da disumanizzare.

Il problema non è l’esistenza di regole, ma chi le formula e come le applica. Se gli ordini diventano caste autoreferenziali, vanno riformati – io li abolirei in blocco – per garantire la trasparenza nei procedimenti disciplinari, la proporzionalità delle sanzioni e la partecipazione di soggetti esterni (lettori, detenuti, minoranze) alla definizione dei codici deontologici.

Solo così si evita di oscillare fra l’arbitrio punitivo (il caso del legale) e la permissività verso l’odio (il caso Feltri), restituendo all’informazione e alla giustizia la funzione di beni pubblici, non di feudi corporativi.


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