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I bambini di Helga
di
Rinaldo Battaglia *
Solo dopo il 2005 venne pubblicato il diario postumo di una ragazza, Helga Deen, olandese come Anna Frank, che il 16 luglio 1943 venne uccisa a Sobibor, dopo esser stata deportata in uno sconosciutissimo lager nazista in territorio d’Olanda: ‘il Kamp Vught’ come peraltro il titolo poi dato al libro.
Per gli storici era il lager di ‘Herzogenbusch’ col suo nome in tedesco.
Helga allora aveva solo 18 anni e venne deportata dalla sua città natale Tilburg col padre, la madre ed il fratello minore Klaus. Il suo diario parte da lì, a differenza di quello di Anna Frank che racconta soprattutto il periodo in cui era nascosta. Helga studiava al liceo e al momento dell’arresto riuscì a nascondere nella borsetta un quadernetto dalla copertina verde, una penna stilografica e una foto del suo giovane fidanzato Kees van den Berg (non ebreo), che non avrebbe più rivisto.
Inspiegabilmente - nessuno riuscì mai a capire come – a guerra finita, il quaderno compilato e trasformato in un diario dal lager arrivò al fidanzato, che lo nascose ‘come una reliquia’ e lo tenne segreto per sé. Solo il figlio di quel ‘fidanzato’, anni dopo si ricorderà di come il padre andasse in certi momenti nella sua camera a leggerlo di nascosto e a piangere. E solo con la sua morte, il figlio ebbe finalmente la possibilità di analizzarlo e, forse piangendo, capì le lacrime del genitore. Decise di pubblicarlo e rendere note le sofferenze del padre e della sua giovane precedente fidanzata.
Helga, nel diario, racconta di come già nel febbraio ‘43 venne sfrattata dalla sua bella casa, in quanto ebrea (casa che subito presa da un ispettore di polizia olandese, al servizio dei nazisti) e poi deportata il 1° giugno 1943 nel lager di Vught, a seguire in quello di Westerbork (dove venne reclusa anche Anna Frank), per esser spedita verso est, per le camere a gas, con l’intera famiglia il mese successivo.
Il diario è solo di 21 pagine ma racconta la vita tremenda del primo lager (il secondo fu solo un breve transito, l’ultimo solo un soffio di vento) rivolgendosi al suo fidanzato.
Descrive la vita quotidiana e di come – lei giovane ragazza olandese di 18 anni – venisse con attenzione ‘spidocchiata’ dalle S.S. Situazioni di totale umiliazione e di pura offesa. Situazioni in cui la dignità si era persa per strada, sin dalla nascita del genere umano.
Descrive la vita dei deportati, ma anche la voglia stoicamente di resistere:
- "Che condizioni spaventose ci sono qui. Sono distrutta, ma voglio andare avanti...giorno per giorno vediamo la libertà al di là dei fili spinati".-
Descrive in maniera durissima la vita dei bambini del lager, lei che magari sognava di diventare un giorno mamma, e la loro disperazione quando venivano - perchè avveniva – separati dalle loro madri per esser mandati da soli ad Auschwitz o Sobibor. E di come lei e le madri non potessero far nulla. Se non quello di farsi uccidere subito sul posto - perchè avveniva – per non essere separate dai loro piccoli cuccioli, anche di 2 o 3 anni.
Come avvenne tra il 6 e 7 giugno’43 quando i nazisti presero 1.249 bambini piccoli, sotto i 10 anni al massimo, messi sui vagoni destinati a Sobibor. Gli storici diranno poi che quei bambini, 1.249 per precisa richiesta del kommandant del lager, un altro sadico criminale il cap. Adam Grùnewad, vennero tutti gasati a poche ore dall’arrivo.
Helga presente alla scena, forse come infermiera, rimase sconvolta e alla sera non seppe trovare le parole per trasmetterle nel suo diario.
Lasciò poche righe:
- "Tutto è così terribile. Tutte quelle urla. E' troppo. Sono a pezzi e domani ci sarà di nuovo. Ma se la mia forza di volontà muore, allora muoio anch'io. Questa è una cosa che non va dimenticata"-
Le ultime righe sono datate 13 luglio, quando venne caricata anche lei verso est.
- "Stamattina la morte di un bambino mi ha messa sottosopra. Ma tutto questo non ha nessuna importanza rispetto a quanto segue: c'è ancora un trasferimento e questa volta faremo parte anche noi del viaggio".-
Con un pensiero finale – l’ultimo – al suo giovane amore:
- "...non ho più paura, non ci sono più sorprese spaventose. L'impossibile è diventato possibile!"-
Sembra che la scelta del 6-7 giugno da parte del Kommandant di spedire solo bambini e così di un elevato numero, fosse dovuta al fatto, che in quei giorni, fosse venuto a conoscenza che dalle sue parti, in Germania, gli Alleati nell’operazione ‘Chastise’, durante un bombardamento aereo su importanti dighe sull’Eder, avessero provocato l’annegamento di oltre un migliaio di tedeschi, di certo anche bambini tedeschi. Forse 1.249 vite in tutto. Forse. Ma non fu mai provato, e credo poco importi a nessuno. Di certo quei bambini non avevano colpe. Come quelli del ‘Kamp Vught’.
Se non, questi ultimi, per il Kommandant Grùnewad, la colpa di essere ebrei.
E nessuna di quelle 1.249 piccole creature ritornò a casa.
20 giugno 2025 – 82 anni dopo - liberamente tratto dal mio ‘Non ho visto farfalle a Terezìn’ – ed. AliRibelli - 2021
* Coordinatore Commissione Storia e Memoria dell'Osservatorio
 
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