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La promessa sposa di Scapaccino
di
Rinaldo Battaglia *
Se un giorno avete occasione di passare per la mia terra vi invito ad arrivare fino alla “Curva della Crose” in zona San Sebastiano di Valli del Pasubio. Vi troverete da una decina di anni un monumento, eretto dalla locale sezione dell’Associazione nazionale Carabinieri e dall’ANPI. È una memoria importante e la targa che lo esalta, spiega alla perfezione. In quel preciso luogo, 80 anni fa, veniva ucciso il carabiniere ‘fedele nei secoli’, Renzo Ghisi, divenuto già dal maggio ’44 partigiano col nome di ‘Scapaccino’.
“Al carabiniere / Renzo Ghisi / detto “Scapaccino” / caduto nelle fila partigiane / In questo luogo /
nella notte del 17 giugno 1944 / Renzo Ghisi / a soli 24 anni, per mano nazifascista, / veniva barbaramente
trucidato, / mettendo fine al suo lungo martirio. / L’amore per la patria e gli ideali di libertà / lo spinsero
fino all’estremo sacrificio. / Il suo fulgido esempio / sia da monito alle nuove generazioni”.
Solo cinque giorni prima, il 12 giugno, aveva compiuto 24 anni. Era di Ostiglia, nel mantovano, dove il padre Guglielmo e la madre Clementa gli avevano insegnato i valori della vita. Si arruolò giovane nei Carabinieri Reali e fu con la divisa che visse l’8 settembre 1943, la data che cambiò l’Italia e gli italiani. Ma fu in primavera, pochi mesi dopo, che fece la sua scelta: si continuava a sentir dire che anche a Verona, dov’era di servizio, i Carabinieri sarebbero stati deportati nei ‘campi’ in Germania, a quel tempo così chiamati. Nella traduzione successiva verrà usato il termine di ‘lager’.
Era già successo, era già successo e nessun Carabiniere non lo poteva dimenticare. Soprattutto a Roma – ve lo ricordo - quando, il Ministro per la Difesa della RSI e ora numero 2 dopo solo il Duce, il Maresciallo Rodolfo Graziani - di base ora proprio nel Comando di Verona - ordinò al comandante generale dell'Arma dei Carabinieri, il gen. Casimiro Delfini, e al comandante della Polizia dell'Africa Italiana (P.A.I.) il gen. Umberto Presti, il disarmo e la consegna in caserma di tutti i carabinieri in servizio nella capitale. Non si fidava di loro: troppo poco fascisti.
E così entro le ore 8 del 7 ottobre ‘43, colpiti tutti dalla sorpresa, almeno 2.500 carabinieri vennero, invece, trasportati alle stazioni Ostiense e Trastevere e deportati in Germania a ingrossare la lunga fila degli IMI, gli schiavi di Hitler. Senza la minimale tutela dei diritti della Convenzione di Ginevra e senza l'assistenza della Croce Rossa Internazionale. Come per tutti gli altri IMI. Niente di più, niente di meno.
Renzo Ghisi scelse allora la via della montagna. Passò prima a casa per informare i genitori e dare un bacio a Bruna, la giovane fidanzata (Bruna Ratti). Le spiegherà tutto e lei tutto capirà in fretta perché, quando è vero amore le parole arrivano sempre dopo del linguaggio del cuore. Bruna gli giurerà eterno amore e dirà di attenderlo appena la guerra sarà finita e vinta, per diventarne la sua sposa.
E poi via di corsa, assieme all’amico d’infanzia e anch’egli carabiniere Guido Vigoni già scappato da Roma, verso Schio, verso il Pasubio dove un altro amico carabiniere, Primo Righele, ora battezzatosi "Bixio", lo attendeva nella sua pattuglia partigiana. E così ai primi di giugno del 1944, mentre Guido Vigoni divenne ’Mantovan’ peccando forse di poca fantasia, Renzo scelse il nome di ‘Scapaccino’.
Perché il carabiniere Giovanni Battista Scapaccino era stato il suo eroe da ragazzo, sebbene fosse il 3 febbraio 1834 morto in un’azione che puntava a liberare la Savoia, assieme ad altri ‘fuoriusciti’ mazziniani. Ucciso per non aver voluto tradire il giuramento prestato.
Ma non era facile anche fare i partigiani o gli eroi in quell’Italia del ’44. In particolare, nel Veneto, ’l‘ombelico del mondo’ - nei fatti - della fascista RSI e crocevia tra l’Italia occupata e la Germania occupante. Anche se nel mio Veneto, oggi, molti lo dimenticano ed in particolare qualche alto politico, come quelli che preferiscono il 25 Aprile onorare i nazifascisti sull’Altopiano di Asiago al ‘Bus de la Spaluga’ (Buso della Spluga). Repetita iuvant: scelta forse strana, ma di certo e ovviamente accettabilissima in un paese democratico.
Le carriere partigiane di Renzo e Guido durarono solo due settimane. E fu proprio nell’azione di rastrellamento che, in Val Leogra a metà giugno ’44, costò il sacrificio anche di Bruno Brandellero (“Ciccio”). In quell’azione - con la massima violenza ed atrocità, praticata dai nazisti della Luftwaffe, da alcune compagnie ucraine del 263° Battaglione orientale e dai nostri fascisti (quelli della GNR di Schio, di Piovene Rocchette e anche di Velo d’Astico - la morte purtroppo arrivò anche per loro, per entrambi.
Renzo, ora promossosi ‘Scapaccino’, venne catturato dai nazifascisti all’alba del 17 giugno. Testimoni racconteranno che venne picchiato a sangue, torturato affinchè negli interrogatori parlasse. Volevano come al solito nomi, indirizzi, punti di incontro di altre pattuglie. Non parlò e non voleva parlare. Anzi dava proprio l’idea di un uomo duro, ferreo, un vero carabiniere forgiato nella dignità del proprio ruolo e missione.
La cosa non poteva che irritare i nazifascisti: lo legarono alla sponda di un carro trainato da un cavallo, gli passarono una corda attorno al collo con intento di portarlo alle carceri del 263° Btg. Orientale, a Marano Vicentino, dove altri più ‘esperti’ in materie di torture lo avrebbero di certo fatto cantare.
Anche il grande storico della Resistenza nella mia terra, Ugo De Grandis (in ’Vallortigara, giugno 1944. Un episodio emblematico della Resistenza altovicentina’ - Centrostampaschio, Schio 2021) ne parla in maniera dettagliata ed approfondita.
Ma poco dopo, lungo il percorso, da un altro gruppo di soldati nazisti si staccò un uomo – forse tedesco, forse ucraino, forse fascista - gli si avvicinò, disse qualcosa a Renzo che cercò di rispondergli qualche parola, messo male com’era. Qualche secondo dopo quell’uomo – mai identificato - estrasse la pistola e gli sparò un colpo a entrambi i piedi. Renzo cascò inevitabilmente per terra, il soldato dette una botta al cavallo che si mise quasi a correre, trainando il corpo del partigiano lungo la strada per un’agonia di almeno undici dolorosissimi chilometri.
Quando si fermarono, in vista di Valli del Pasubio e arrivate ad alcune case, Renzo stava morendo. Non contenti i nazisti, o forse qui meglio gli ucraini, che avevano controllato passo su passo la ‘via crucis’ di Renzo, gli tolsero la corda dal collo e lo mitragliarono sul ciglio della strada. Lasciandolo lì come fosse immondizia e se ne andarono.
Una giovane ragazza, Tiziana Corzato, dalla sua casa vide la scena e scese di corsa per soccorrerlo. Renzo era ancora vivo. Non dava solo l’idea, era invece l’esempio un uomo duro, ferreo, un vero carabiniere forgiato nella dignità del proprio ruolo e missione. Tiziana prese un po’ di acqua con le mani da una fontanella vicina e la portò sulle sue labbra. Renzo reagì di scatto, aprì gli occhi.
Quella ragazza forse assomigliava a Bruna, il suo amore di Ostiglia, la sua promessa sposa. E le sorrise. Poi tenendo stretto al petto una vecchia e piccola busta di celluloide sporca di sangue, morì. A Tiziana sembrò che volesse consegnarle quella busta, quindi la prese e la osservò d’istinto. Conteneva una foto tutta striminzita, e chissà quante volte toccata e baciata, della sua Bruna.
Nella targa del monumento alla “Curva della Crose” non si fa alcun cenno a Bruna. Ed è un peccato. Gli storici non ne parlano e credo nessuno abbia mai avuto il diritto di sapere come poi lei sia vissuta. Di certo in quel 17 giugno, in quel luogo, uccisero il suo amore e il suo sogno di sposa. Mi auguro che la vita le sia stata dolce e l’abbia poi ripagata del dolore subito durante quella guerra maledetta e fratricida. Di certo nella ‘via crucis’ di Renzo, del partigiano ‘Scapaccino’, il ricordo di Bruna deve essergli stato unico ed indescrivibile. Forse rassicurante, una luce verso il Paradiso.
In ‘Bella ciao’ si parla del ‘fiore del partigiano’. Bruna, col suo amore, di certo lo è stata per Renzo. Fino alla morte e forse anche dopo.
«È questo il fiore del partigiano»,
o bella, ciao! bella, ciao! bella, ciao, ciao, ciao!
«È questo il fiore del partigiano
morto per la libertà!».
E ora ditemi: Ciccio e Scapaccino erano dalla parte sbagliata?
Hanno dato la vita per bloccare o almeno rallentare il crimine che stava inesorabilmente proseguendo, quella valanga del male che troppi lasciavano che arrivasse a valle. Tra il silenzio di molti e il business di pochi.
Scriveva tempo fa Davide Romanin Jacur, altro importante storico padovano, la cui famiglia ha pagato caro il prezzo della Shoah italiana: “Non chiedo a Dio dov’era o perché abbia permesso tutto questo. Non chiedo che dia pace ai defunti o perdono agli assassini. Colpevoli sono gli uomini, colpevoli siamo noi che non li fermiamo quando siamo in tempo, accecati ed impauriti quando il Male avanza.”
Dobbiamo essere grati a tutti coloro che hanno capito quale era la parte giusta e hanno agito di conseguenza.
Mi permetto di insistere su questo tema e sulla netta differenza esistente tra le due ‘parti’ perché soprattutto nell’Italia del 2025 - 80 anni dopo questi crimini – è palesemente in atto un’azione di ‘re-descrizione’ della Storia di quegli anni, con continue dichiarazioni e attività – anche dall’alto della politica - per negare o ridimensionare il sangue di quel tragico periodo. Come se tutto fosse non vero o mai esistito. E non serve conoscere Hannah Arendt, che da ‘La banalità del male’ fino all’ultimo giorno della sua vita ha cercato di illuminarci sul valore storico del passato quale strada maestra di cui tener conto. Per il nostro futuro.
E quelle sue parole sulla politica e sulla verità nascoste sono ‘muri portanti’ del mondo che oggi viviamo:
"Questa continua menzogna non è volta a far credere al popolo una bugia, ma a far sì che nessuno creda più a niente. Un popolo che non sa più distinguere tra verità e menzogna non può distinguere tra giusto e sbagliato. E un popolo del genere, privato del potere di pensare, è, senza saperlo e volerlo, completamente sottoposto alla norma di bugie. Con un popolo così puoi fare tutto quello che vuoi."
Con un popolo così puoi fare tutto quello che vuoi?
“E’ uno shock rendersi conto che hai perso la guerra
ed è peggio ancora quando scopri che tu eri dalla parte sbagliata”.
Ma troppi oggi non riescono a capirne il pericolo.
Troppi, anche dalle mie parti, hanno dimenticato. Colpevolmente.
Anche nella mia terra vicentina. Soprattutto nella mia bella terra vicentina, terra di casa mia.
17 giugno 2025 - 81 anni dopo - Liberamente tratto dal mio ‘L’ultimo viaggio da Vò Vecchio ad Auschwitz’ – Ed. AliRibelli - 2024
* Coordinatore Commissione Storia e Memoria dell'Osservatorio
 
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