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Renzo l'antifascista
di Roberto Neri
Modena, giugno 1957; rientra nella sua città un campione dimenticato del nostro più schietto antifascismo, Renzo Cavani, dopo un esilio di più di tre decenni e mezzo, iniziato quando era poco più che un adolescente.
Infatti ha vent’anni quando con un paio di coetanei assiste al pestaggio di un muratore, assalito da squadristi in centro, i quali mentre lo bastonano gli gridano “bolscevico!”. Renzo è già noto alla Questura “per la sue idee sovversive” ma stavolta, di fronte al sorgere del primo fascismo tollerato dalle autorità, decide di agire.
Di un paio di picchiatori abituali, i fratelli Ruini, visti all’opera sul povero muratore, si sa dove abitano; la notte fra 20 e 21 gennaio 1921 nel “salotto buono” di Modena, l’elegante via Giardini, tre anarchici incluso Cavani li affrontano mentre rincasano insieme ad un camerata. Inizia una breve sparatoria, tre contro tre.
Arrivano subito le guardie ma trovano solo Mario Ruini, 18 anni, centrato cinque volte in zone vitali nonostante la fioca illuminazione; morirà poche ore dopo. Renzo Cavani scopre di avere una mira fuori dal comune, ma lo scoprono anche le camicie nere che iniziano a dargli la caccia.
L’11 novembre 1921 ricorre San Martino, festa tradizionalmente molto amata anche a Modena; diversi fascisti dell’Avanguardia giovanile nel ristorante Terrazza di via Buon Pastore stanno cenando. Oltre che per banchettare, i ragazzi in camicia nera sono lì per uccidere Renzo al suo rientro a casa.
Quando lui passa, i fascisti escono di corsa, lo chiamano per “scambiare due parole”, lui risponde “è tardi, facciamo domani” e scappa. Inseguito dalle revolverate della squadraccia, che commette l’errore passare sotto un lampione, Cavani si gira e spara pochi precisi colpi; cade così il fascista Gino Tabaroni, 17 anni appena compiuti.
Al deceduto sarà intitolata la strada in cui muore; dopo la Liberazione tale via riprenderà il vecchio nome. Cavani intanto fugge all’estero già nelle ore successive. Via Istanbul arriva in Russia, dove si impiega perfino in Siberia pur di avere un lavoro, poi negli Stati Uniti; nel suo essere ramingo si specializza a vivere di stenti e con nomi fittizi.
Libertario fino al midollo, Renzo si stabilisce in Francia e riappare in Spagna nel 1936; è uno dei primi ad accorrere in aiuto alla democrazia repubblicana minacciata da Franco e dall’ex re. Dopo altre avventure, e un figlio avuto in Francia e una figlia nata negli USA ai quali non potrà dare il proprio cognome poiché usa identità diverse, come detto nel 1957 torna nella sua città.
Non è un rientro felice; Cavani ha dovuto lasciare moglie e figlia perché espulso (non è la prima volta nel suo peregrinare) dagli Stati Uniti, inoltre ha un vecchio debito con la giustizia italiana da scontare. Sulla sua testa potrebbe pendere ancora la condanna all’ergastolo comminata in contumacia dal regime fascista per la morte di Tabaroni, camerata “martire”.
Renzo deve ripartire, e dalla Francia che l’accoglie di nuovo dovrà battersi per l’assoluzione da quell’omicidio, che alla fine verrà riesaminato e giudicato come dovuto a “legittima difesa”. Cavani potrà così tornare definitivamente due anni dopo, ma la nostra Repubblica non gli assegnerà mai la piccola pensione che spetta ai combattenti antifascisti.
Questo perché l’uccisione dello squadrista Tabaroni è avvenuta prima del 28 ottobre 1922, giorno iniziale della marcia su Roma, ritenuto l’avvio ufficiale del regime. Intervistato nel 1963, Cavani spiegherà come e perché sia dispiaciuto, ma non pentito, per quella sparatoria via Buon Pastore.
Morirà poco dopo, a 65 anni d’età, pare avvelenandosi in seguito ad una diagnosi di tumore al cervello. Renzo Cavani lascerà un biglietto alla sorella perché versi tutti i suoi beni, 10mila lire, pari a quasi 250 euro attuali, allo storico giornale anarchico “Umanità Nova”.
 
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