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08 giugno 2025
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Non parla, non può diventare cittadino
di Soumaila Diawara

Ismael è nato in Italia, ci ha vissuto ogni giorno della sua vita. Ma lo Stato gli nega la cittadinanza perché non può parlare.

Ha compiuto 18 anni, come ogni altro ragazzo nato sul suolo italiano e cresciuto in questo Paese. Per la legge, avrebbe diritto alla cittadinanza italiana. Ma Ismael è disabile, affetto dalla sindrome di West, una forma grave di epilessia che lo ha colpito fin dalla prima infanzia. Non cammina, non parla. Vive su una sedia a rotelle e comunica solo con gli occhi, con i gesti, con la presenza silenziosa di chi lotta ogni giorno per esistere.

Eppure per lo Stato non basta. Per ottenere la cittadinanza serve pronunciare una formula: “Giuro di essere fedele alla Repubblica e di osservare la Costituzione e le leggi dello Stato italiano”. Serve dire “Sì, voglio diventare cittadino italiano”. Ma Ismael non potrà mai dirlo. E per questo la sua richiesta è stata sospesa.

Nonostante la legge riconosca il diritto alla cittadinanza per chi nasce in Italia da genitori stranieri e vi risiede ininterrottamente fino alla maggiore età, nel suo caso tutto si è bloccato. Quando la famiglia ha ricevuto la lettera che autorizzava a fare domanda, si è presentata al Comune di Modena.

Ma lì è arrivata la sorpresa: senza il consenso verbale diretto di Ismael, la procedura non può andare avanti. Nemmeno il documento dell’amministratore di sostegno, che autorizza la madre a parlare a nome suo, è stato considerato sufficiente. Il Comune ha rimandato tutto alla Prefettura, dove la procedura potrà durare anni.

A raccontare questa ingiustizia è Aisha Bara, la sorella, che denuncia con forza un meccanismo crudele e discriminatorio. “Mio fratello ha diritto alla cittadinanza. Vive in Italia da sempre. Ma solo perché non può parlare, lo costringono ad aspettare anni. È assurdo. È ingiusto. E non riguarda solo lui, riguarda tutti i disabili in condizioni simili”.

La cittadinanza, in questo caso, non è solo un documento. È riconoscimento, tutela, accesso a diritti fondamentali. E lo Stato, invece di semplificare, crea ostacoli. Trasforma una disabilità in una colpa, in un motivo per escludere.

Questa non è burocrazia.
È discriminazione.
È un’ingiustizia che grida.

Perché in un Paese civile nessuno dovrebbe essere escluso per non poter parlare.
La dignità non si misura a parole.


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