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Sicurezza privata fra mafie, caporalato e burn out all'olio di ricino
di
Francesco P. Esposito *
Avete mai letto i commenti di alcune guardie giurate sotto ai post di cronaca nera?
Io sì.
Ci ho trovato di tutto: sessismo, omofobia, odio razziale, nostalgie del manganello, poche “h”, e molti, troppi “duce, torna”.
Nel frattempo, continuano a uscire notizie di addetti alla sicurezza che si suicidano. O peggio: prima ammazzano moglie, amante e figli.
Sono affranto. Ma non stupito.
Perché il brodo di coltura spartano, autoritario e tossico in cui vive e si riproduce gran parte del settore è esattamente questo: un mix letale di machismo, solitudine, disagio psichico e ignoranza strutturale.
E no, non è solo colpa dei singoli.
È un intero sistema costruito per schiacciare i più fragili e premiare gli aggressivi.
Un sistema in cui:
• le aziende di vigilanza sono spesso riconducibili a ex affiliati di clan, gruppi borderline o vere e proprie mafie;
• si lavora in nero o con contratti da fame, con orari che violano ogni norma sul riposo;
• si pagano turni notturni 5 euro l’ora, quando va bene;
• si affida una pistola a persone che non hanno nemmeno ricevuto formazione psicologica di base.
Poi succede l’irreparabile.
E si dice: “Era tanto una brava persona, salutava sempre.”
No.
Non era abbastanza.
Non basta salutare. Bisogna educare.
Serve selezione vera, formazione umanistica, cultura inclusiva e antifascista.
Serve una riforma seria delle aziende di security.
Perché altrimenti la prossima strage ce l’abbiamo già sotto gli occhi. Solo che non l’abbiamo ancora letta.
Parola di Criminologo.
* Criminologo forense, componente del Comitato tecnico-giuridico dell'Osservatorio
 
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