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07giugno 2025
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Sicurezza privata fra mafie, caporalato e burn out all'olio di ricino
di Francesco P. Esposito *

Avete mai letto i commenti di alcune guardie giurate sotto ai post di cronaca nera?

Io sì. Ci ho trovato di tutto: sessismo, omofobia, odio razziale, nostalgie del manganello, poche “h”, e molti, troppi “duce, torna”.

Nel frattempo, continuano a uscire notizie di addetti alla sicurezza che si suicidano. O peggio: prima ammazzano moglie, amante e figli.

Sono affranto. Ma non stupito.

Perché il brodo di coltura spartano, autoritario e tossico in cui vive e si riproduce gran parte del settore è esattamente questo: un mix letale di machismo, solitudine, disagio psichico e ignoranza strutturale.

E no, non è solo colpa dei singoli.

È un intero sistema costruito per schiacciare i più fragili e premiare gli aggressivi.

Un sistema in cui:
• le aziende di vigilanza sono spesso riconducibili a ex affiliati di clan, gruppi borderline o vere e proprie mafie;
• si lavora in nero o con contratti da fame, con orari che violano ogni norma sul riposo;
• si pagano turni notturni 5 euro l’ora, quando va bene;
• si affida una pistola a persone che non hanno nemmeno ricevuto formazione psicologica di base.

Poi succede l’irreparabile.

E si dice: “Era tanto una brava persona, salutava sempre.”

No. Non era abbastanza. Non basta salutare. Bisogna educare.

Serve selezione vera, formazione umanistica, cultura inclusiva e antifascista.

Serve una riforma seria delle aziende di security.

Perché altrimenti la prossima strage ce l’abbiamo già sotto gli occhi. Solo che non l’abbiamo ancora letta.

Parola di Criminologo.


* Criminologo forense, componente del Comitato tecnico-giuridico dell'Osservatorio


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