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05 giugno 2025
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Robert Kennedy faceva paura
di Daniele Furlan

6 GIUGNO 1968 - ASSASSINIO DI ROBERT FRANCIS KENNEDY detto " BOB" o "BOBBY".

"C'è chi guarda le cose come sono e si chiede "perché?" Io penso a come dovrebbero essere e mi chiedo "perché no?" Ogni volta che un uomo lotta per un ideale emette una minuscola onda di speranza, di energia e di audacia... tante onde intersecandosi producono una corrente in grado di spazzare via i più poderosi muri di oppressione. Coraggio, crediamoci, tutti, solo coloro che hanno il coraggio di affrontare grandi insuccessi possono ottenere grandi successi".

Questo ripeteva sempre, questo ribadì anche nel suo ultimo discorso, quella sera del 5 giugno 1968. Non era un comizio ma un semplice discorso dedicato ai tanti suoi sostenitori, accorsi lì, nella sala dell'hotel Ambassador di Los Angeles, a festeggiare.

Aveva 42 anni Bob ed era felice perché aveva appena vinto le primarie che lo proiettavano direttamente verso la Casa Bianca.

Intorno alla mezzanotte di quella notte tra il 5 e il 6 giugno 1968 stava lasciando la sala, per raggiungere la camera in compagnia delle moglie incinta del loro undicesimo figlio, quando diversi colpi di pistola vennero sparati contro di lui sotto gli occhi di tutti, anche dei reporter televisivi che lo stavano riprendendo.

Uno dei proiettili gli si conficcò dietro l'orecchio perforandogli il cervello.

Nel panico generale, tutti capirono che la situazione era disperata. Rfk, morì ore dopo in ospedale.

Prima di perdere conoscenza, chiese alla moglie, china su di lui: "stai bene? e gli altri? come stanno gli altri?"... furono queste le sue ultime parole.

Solo pochi mesi prima, il 4 aprile 1968 era stato lo stesso Bob ad annunciare con dolore la morte del suo amico Martin Luther King, personaggio che gli era tanto vicino e che considerava Bob suo erede, il suo erede bianco.

Seppe della morte di M.L. King mentre stava per iniziare un comizio a Indianapolis, una delle 60 città statunitensi dove era scoppiata la protesta che presto si trasformò in vera e propria rivolta.

Nonostante gli fosse stato sconsigliato per motivi di sicurezza, Bob decise lo stesso di salire sul palco e annunciando la morte del suo amico, commosso pronunciò il più bel discorso improvvisato della storia: "Amore, saggezza, solidarietà per coloro che soffrono, giustizia per tutti, bianchi e neri", riuscendo a placare la rivolta.

Fu anche l'unico bianco a partecipare ai funerali del reverendo e, secondo molti testimoni, il suo intervento fu salutato da un grandissimo applauso...

Quello di Bobby Kennedy, dopo suo fratello John e Martin Luther King, fu il terzo assassinio di prestigio negli Stati Uniti in quel quinquennio caratterizzato da violenza politica e trasformazioni sociali, di grandi rivolte razziali, a lungo represse, e Bob era considerato l'uomo giusto che avrebbe potuto far uscire dal buio la nazione, lui che aveva raccolto il testimone del fratello maggiore, con cui condivideva gli ideali di libertà trasparenza e giustizia, ma che portava avanti con molta più determinazione.

Due fratelli molto simili come ideali ma diversi nei caratteri, John aperto ed avvezzo a far parlare di sé, Robert molto più riservato duro e inflessibile che perseguiva i suoi obiettivi con grande assiduità.

Robert, nato il 20 novembre 1925 settimo figlio di Joe e Rose Kennedy, si sposò a soli 24 anni nel 1950 con Ethel Skakel, figlia di un imprenditore di Chicago, ebbero 11 figli.

Dopo la laurea e una breve carriera come legale, dal 1959 si dedicò alla campagna presidenziale del fratello John che dopo la vittoria nel 1960 lo scelse come ministro della giustizia.

Soddisfatto del suo ruolo, e consapevole di occupare il “secondo posto”, pur avendo ben 8 anni meno di John, ne era di fatto il primo consulente, visto che John era solito chiedergli consiglio per qualsiasi cosa.

Dopo l'assassinio del fratello, Robert lasciò il governo ma qualche anno dopo deciderà di candidarsi alla presidenza.

Di visioni molto più a sinistra rispetto al fratello, Bob era al fianco dei poveri, anche fisicamente, con enfasi sosteneva i diritti civili, l'attivismo della classe operaia ed era contro la guerra in Vietnam e l'appoggio USA ad Israele.

Accesa la sua rivalità con Jimmy Hoffa, il capo di un importante sindacato legato alla mafia italiana, famose erano anche le sue litigate pubbliche con J. Edgar Hoover, fondatore e potentissimo capo dell’FBI, contrario all'istituzione di quel pool antimafia che Bob aveva creato.

Criticò duramente il PIL come indicatore di benessere, sosteneva che dovevano essere la compassione e l'amore a farci comprendere il mondo.

Era proiettato verso la Casa Bianca, e sarebbe stato un presidente rivoluzionario, che aveva già cambiato radicalmente l'America prima ancora di essere eletto. Non gli permisero, di completare l'opera, occorreva fermarlo.

Tutto finì quel 6 giugno 1968, l'America perse un altro grande uomo.

L'uomo del "perché no?", che non si rassegnava ma si adoperava per cambiare le cose, del "coraggio di affrontare gli insuccessi per ottenere grandi successi"...

Quel giorno, con lui, fu assassinata aanche quell'"America" miglioe he lui aveva fatto vedere. Tutto si fermò e gli USA ripiombarono nel loro mondo nauseabondo, falso e violento in cui tutt'ora si crogiolano e cui si è adattato vergognosamente anche suo figlio.


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