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Referendum: sull'esercizio del voto come diritto-dovere
di Federica Pighetti
A proposito di esercizio del voto come diritto-dovere.
Quando si tratta di elezioni politiche non sono aprioristicamente contraria all'astensione, al contrario mi sembra una posizione del tutto accettabile nel caso non ci si senta rappresentati da nessun partito; a maggior ragione quando il sistema elettorale è maggioritario la trovo una scelta assolutamente legittima.
Ma quando si tratta di referendum il discorso a mio parere cambia radicalmente. Astenersi nell'unica occasione, seppur imperfetta, di esercitare direttamente il proprio potere decisionale è una scelta politicamente indifendibile oltre che vigliacca.
Politicamente è contraddittoria perché significa sottrarsi al confronto diretto contando sulla passività e la tendenza all'accettazione, atteggiamenti che isolano, alienano e distruggono la dimensione relazionale dell'individuo.
Ma soprattutto, quando l'astensione diventa indicazione implicita di voto referendario, essa si trasforma in un atto politicamente subdolo e vile in quanto getta i presupposti per l'inganno autoreferenziale di chi sottraendosi alla conta si sottrae all'esame di realtà.
Chi punta al non raggiungimento del quorum vuole evitare, infatti, di prendere atto pubblicamente dell'effettivo peso (in termini di condivisione) della propria opinione, indipendentemente da quale essa sia, ponendosi in una condizione di vittoria senza rischio e dunque senza merito, che è più degradante della sconfitta.
Quando si è chiamati a decidere ci sono i Sì, ci sono i No e ci sono gli IGNAVI.
 
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