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Referendum: strumentalizzazioni che confondono
di Mario Cosenza
Sul referendum leggo molta confusione in giro. Si confonde il fatto che alcuni partiti stiano provando a mettere il cappello sulla consultazione con l'oggetto stesso dei quesiti.
L'idea di andare contro PD o CGIL per una volta che dicono cose sensate mi sembra davvero infantilismo politico (perché poi votare come Meloni, Lega e altri corpuscoli destrorsi invece è godibile?). È uno dei modi di colpire uno dei pochi istituti della democrazia diretta rimasti.
Detesto molto dei volti che oggi si battono per il Sì, così come mi fa profondamente senso l'improvvisa svolta pro-Ga za dei nostri politici complici, ma andiamo per un secondo oltre.
Chi si ponga nell'ottica di istanze anche solo vagamente favorevoli al lavoro nel conflitto col capitale non può che alzare il sederino e andare a votare 4 grossi Sì ai primi 4 quesiti.
Credo ci sia poco da discutere su questo: votate sì è una tutela per lavoratori e lavoratrici e tanto mi basta, i vari aedi del sistema risponderanno con profondi calcoli economicistici per cui col Sì l'Italia collasserà dopodomani, ma ce ne faremo una ragione. Cambierà poco, nel collasso in cui siamo, cambierà niente? Ok, ma comunque Sì.
C'è un elefante nella stanza, lo so, il Quinto quesito, quello sulla cittadinanza (ricordo che però si può non ritirare quella singola scheda, i quorum sono scorporati).
Che sia un ordigno piazzato apposta per fare saltare il banco o insipienza politica, ad ora non saprei. È chiaro che un quesito che c'entra molto poco con gli altri pone alcuni dubbi di coerenza e uniformità. Ed è chiaro che i promotori di questo specifico quesito - radicali and co - sono spesso stati i più feroci avversari dei lavoratori e che le loro intenzioni abbiano a che fare con una visione della cittadinanza pienamento neoliberista (personalmente uno come Magi mi dà un fastidio insostenibile, la tentazione di votare contro esiste, ma tengo a freno).
Peraltro, va evidenziato come per un referendum del genere ci vorrebbe una discussione assai più capillare e diffusa e non i blitz referendari. Anche perché il senso comune diffuso è sostanzialmente contrario a questo cambiamento - così mi pare, almeno - e dunque, ripeto, il suo scopo (in questo contesto) sembra quello di affossare tutto il resto.
Per il punto preciso, credo comunque che la discussione vada affrontata in maniera molto razionale e funzionale: chi vota Sì non è favorevole a un presunto piano di sostituzione etnica e chi vota No non ha la tessera delle SS.
Se poi altri fanno valutazioni del genere, razzistoidi o umanistoidi, problemi loro.
Personalmente, l'unica ottica da cui valuto la politica è quella dei rapporti di forza dei lavoratori, liberata da ogni culturalismo grezzo.
La domanda è: avere altri lavoratori più protetti aiuta o meno la lotta? Se esiste il famoso "esercito di manodopera di riserva" (nozione comunque da sempre problematica) pronto ad accettare lavori di condizioni al ribasso, c'è più o meno solidarietà di classe? Provare a sindacalizzare e creare nuove connessioni con i "nuovi italiani" aiuta la lotta o no?
Posto che non cambiano le condizioni - esame di lingua, fedina penale etc etc - ridurre il tempo per la via crucis della cittadinanza (ufficialmente dieci anni, de facto molto di più: il problema è amministrativo assai più che politico, questo, anche, è il punto! Credo sostanzialmente che tra i 5 anni e la lentezza si arriverà a un tempo "giusto") per gente che lavora qui, paga le tasse qui (assai più di tanti campioni dello sport che si idolatrano) e partecipa al patto democratico e renderla meno ricattabile, mi sembra qualcosa da sostenere, anche se non avrei dimezzato fino a 5 anni (ma de facto non saranno 5, e comunque non sarà automatico, non lo è mai).
Così come dalla mia ottica il dare la cittadinanza a immigrati di seconda generazione che di fatto sono già italiani, nati qui da genitori immigrati ma perfettamente integrata, è pura e semplice giustizia (per questo punto, però, il quesito non è particolarmente centrato, e questo passaggio non è per forza deducibile dal quesito, e quello che evidenzio sarebbe più un effetto collaterale).
Al netto che la si risolva così, non si capisce che socialismo voglia chi pensa che avere miriadi di persone nate qui senza cittadinanza e con meno diritti sia una situazione auspicabile, anche se il tema dovrebbe essere posto in modo più "alto", ossia prevedere una discussione su occupazione e welfare universali, così come sulla cittadinanza non come calcolo matematico bensì come "appartenenza" - ma so che ogni discorso sulla "comunità" viene creduto essere reazionario, quando è esattamente il contrario se ben inteso.
Ammetto che però con un welfare depotenziato la questione può essere un'arma a doppio taglio: più introiti ma anche più uscite. E, ripeto, non credo alle vie amministrative per i problemi etico-politici di appartenenza a un patto costituzionale (insomma, reputo lo Ius Scholae una via preferibile).
Aggiungo però che a mio parere chi parla di orde di immigrati e di sostituzione etnica a partire da questo quesito, fa fantapolitica.
Il problema dell'immigrazione è epocale, così come quello demografico, e non sarà cambiato da un quesito gettato lì in un sistema giudiziario e burocratico al collasso (so bene che questa potrebbe essere anche una ragione per votare No e/o non votare proprio, ma bisogna essere onesti), ma neanche questo quesito è il battistrada per la scomparsa di una presunta "italianità".
Al contempo, penso che reputare "razzisti" i concittadini che soffrono, in particolare nelle periferie, per un'immigrazione non integrata - nel lavoro nonché nella convivenza - sia un errore colossale e che apre la strada al modo in cui la destra parla del problema. Non si tratta né solo di percezione alterata né di razzismo, ma di problemi a volte concretissimi, che investe tutti noi e sempre più lo farà, e la squalifica di chi prova a porre il problema politicamente anche da punti di vista innovativi e coraggiosi (da Wagenknecht a Mélenchon) è pura malafede.
La verità è che il tema è molto ma molto più grande di un referendum, e servirebbe una politicizzazione e una democraticizzazione della società per affrontarla come in anni d'oro della Prima Repubblica e non certo un quesito gettato lì.
Voterò 5 Sì, in sintesi, ritenendo però il quinto Sì un po' striminzito, e consapevole che è solo un posizionamento che ha a che fare al massimo con la propria coscienza, perché le condizioni politiche non ci sono né passerà, e consapevole che una società politica che si mobilità solo per via referendaria è malata - ma lo sappiamo.
 
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