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02 giugno 2025
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Nella nuova repubblica traghettarono i prefetti del ventennio
di Roberto Neri

Una delle domande da un milione di euro che sembrano assillare di più gli storici e gli appassionati è: “come fu possibile che gran parte degli apparati dello Stato fascista venissero traghettati nella Repubblica italiana alla fine della guerra?”.

La vicenda di Tommaso Pavone forse non risponde al super quiz ma pare interessante per descrivere quella fatale continuità tra il fascismo e i governi democratici successivi. Pavone infatti è un prefetto che farà carriera durante il regime e proseguirà anche dopo.

Nato a Potenza nel 1899, Pavone si laurea in legge e vince subito il concorso del ministero dell’Interno per accedere alla carriera che culmina con la nomina a prefetto di 1^ o 2^ classe, cioè quel ristretto gruppo di funzionari inviati a rappresentare il governo centrale nei capoluoghi provinciali. All’epoca l’apice della carriera si raggiunge non prima dei 50 anni d’età; Pavone a 43 anni è già prefetto di 2^ classe. E’ vero che può vantare di essere un “antemarcia”, ossia un iscritto al partito fascista da prima della marcia su Roma, ma probabilmente la promozione al rango prefettizio è merito piuttosto delle sue qualità.

Appena due mesi dopo Pavone, nominato prefetto di Trento, si ritrova a capo di una città divenuta di colpo strategica; i tedeschi che occupano l’Italia centro settentrionale a seguito dell’armistizio dell’8 settembre 1943 arrivano passando proprio da lì, e vogliono comandare.

L’ancor giovane prefetto però tiene un contegno fermo nei confronti della polizia nazista, rifiutando di diffondere un avviso di minacce ai militari italiani che si danno alla macchia per non combattere dalla parte di Hitler; ottiene anche la liberazione di un gruppo di carabinieri che stanno per essere deportati. Pavone poi comunica al ministero dell'Interno che tutelare la sovranità italiana è impossibile, lascia Trento e raggiunge Firenze, dove viene arrestato dai fascisti che lo consegnano ai tedeschi. Resta in cella a Regina Coeli a Roma per 40 giorni poi, forse grazie alle sue conoscenze, viene ritenuto malato ed evita una probabile deportazione.

Nei mesi della Liberazione torna a Firenze da anonimo cittadino. Poi viene di certo esaminato dalla “Commissione per le epurazioni del fascismo”, così come circa 11mila funzionari pubblici su quasi 130mila in servizio alla fine della dittatura, ma non riceve sanzioni e prosegue la carriera.

Nel 1947 diviene prefetto di Firenze dopo aver raggiunto la 1^ classe. A inizio 1949 dirige la Prefettura più importante del paese, quella di Milano, e due anni dopo diventa capo della Polizia; coinvolto marginalmente nel giallo Montesi, si dimette. Pensionato dal 1964, morirà poco dopo.

Diverso da Pavone è il caso di Uccelli, un fascista che a soli 35 anni diviene prefetto grazie al partito. Oscar Uccelli nasce in Umbria nel 1894; dopo la Grande Guerra aderisce ai Fasci di combattimento e partecipa a crimini squadristi.

Sindaco poi podestà di Perugia, dal 1929 passa a guidare diverse Prefetture arrivando a capo di quella di Milano nel febbraio 1943; rimosso dopo il collasso del fascismo a fine luglio dal governo Badoglio, in ottobre ottiene di nuovo lo stesso posto grazie alla Repubblica Sociale Italiana alla quale aderisce. Uccelli in qualità di prefetto fa condannare a morte otto innocenti come rappresaglia per l’attentato che elimina Aldo Resega, segretario milanese del partito fascista. Per questo e altri delitti Uccelli viene processato nel 1945 dalla Corte d’assise speciale istituita alla fine della guerra per giudicare penalmente il fascismo.

Insieme a Buffarini Guidi, ministro dell’Interno repubblichino, Uccelli è condannato a morte ma l’ex prefetto in camicia nera, che è anche uno scaltro avvocato, fa ricorso, e ottiene pure di spostare nella meno ostile Brescia il processo. La fucilazione viene ridotta a 30 anni di detenzione. Uccelli nel 1947 grazie ad amnistia e condoni torna libero e, di fatto, impunito.

Infine, restando a Milano, ecco il caso Troilo per illustrare un tentativo, represso, di adeguare la Prefettura al vento di libertà e rinnovamento che soffia -non dappertutto- sull’Italia vincitrice del nazifascismo.

Ettore Troilo è un prestigioso comandante partigiano della brigata Maiella; da giovane è stato anche segretario di Matteotti prima che il regime glielo assassinasse. Nel gennaio del 1946 viene nominato prefetto di Milano in sostituzione di Riccardo Lombardi, che era diventato ministro nel primo governo De Gasperi. La città ha decine di migliaia di disoccupati, 25mila edifici distrutti, una carestia strisciante, il carovita e gravi problemi di ordine pubblico, con più di mille rapine e ottanta morti per criminalità comune all’anno. Poco dopo la nomina Troilo deve affrontare e risolvere una rivolta nel carcere di San Vittore, dove sono stipati oltre mille ex partigiani e più di tremila ex fascisti.

La Prefettura di Milano diviene un terreno di incontro aperto agli organismi popolari nei quali si andava articolando la nuova vita democratica della città. Troilo rispetta le forme tradizionali però risponde prima di tutto al Comitato di Liberazione, poi al governo centrale. Milano rinasce mentre il vento cambia bruscamente.

Dopo quasi due anni di inappuntabile servizio, Troilo viene destituito dal ministro Scelba, che invia un prefetto di carriera, non compromesso con la dittatura. Scoppia una mezza insurrezione; il sindaco Greppi e oltre centocinquanta suoi colleghi della provincia si dimettono. Inizia uno sciopero generale. Un drappello di partigiani occupa la Prefettura; li guida Giancarlo Pajetta che esultante telefona a Togliatti “Abbiamo preso la prefettura di Milano!” e si sente rispondere: “Bravo. E ora che te ne fai?”.

Scelba fa circondare il palazzo dall’esercito. Troilo con realismo accetta e il 2 dicembre 1947 lascia in cambio di un incarico all’ONU e alla non incriminazione degli occupanti.

Lo Stato riprende così il pieno controllo delle nomine dei prefetti com’era prima del regime; va ricordato che Mussolini nel 1937 aveva stabilito per legge che al partito fascista spettasse la scelta di almeno i due quinti dei prefetti.

Si arresta pure un processo di autonomia dei territori iniziato con la Resistenza, che riprenderà in seguito con la nascita delle Regioni.

(fonti principali di questo scritto sono le schede dei prefetti Pavone e Uccelli in A. Cifelli “I prefetti del regno nel Ventennio”, 1981 Roma, edizioni SSAI - Scuola superiore dell’Amministrazione dell’Interno, D. D'Urso “I prefetti di Trento dal 1922 al 1943”, in «Studi trentini. Storia» 92/2 (2013), pp. 517-520, e l’articolo sui prefetti milanesi del Novecento curato da W. Marossi e pubblicato il 21 novembre 2020 da “Arcipelago Milano” periodico online di cultura milanese)


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