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01 giugno 2025
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Le forme del fascismo
di Rinaldo Battaglia *

Il 1° giugno 1944 iniziarono, a Genova, in molte fabbriche scioperi spontanei degli operai, scioperi più o meno totali e completi. Si svilupperanno soprattutto dopo il giorno 4 con le notizie della liberazione di Roma e, giorni dopo ancora, con quanto stava avvenendo in Normandia.

La risposta nazifascista arriverà feroce e violenta il giorno 16, quando ben 1.488 operai genovesi vennero deportati dai nazisti, aiutati dai fascisti locali (X Mas in primis), nel lager di Mauthausen e da lì poi, alcuni, in altri suoi sotto-campi.

Quel giorno, verso le 14, ingenti forze nazifasciste con un’azione improvvisa circondarono e occuparono le quattro fabbriche ove lo sciopero era più forte e deciso: la Siac, la San Giorgio, il Cantiere navale e la Piaggio.

Gli operai vennero sorpresi, radunati nei piazzali delle fabbriche, selezionati e a centinaia caricati come bestie su autobus e camion. Chi aveva capito e cercato di fuggire venne subito ripreso e, sotto la minaccia delle armi, ricondotto sui camion.

Il giorno 18 - due giorni dopo - le famiglie degli operai capirono ufficialmente i motivi dell’assenza dei mariti. Basile, il prefetto fascista della città così scriveva e si firmava sui manifesti appesi sui muri di Genova:
“L’operazione svoltasi ieri in seno agli stabilimenti Siac, San Giorgio, Cantiere Ansaldo e Piaggio, ha chiaramente dimostrato che le forze armate del Reich e le autorità italiane, sanno prendere anche energici provvedimenti per colpire sobillatori, scalmanati, scioperanti, sabotatori. Vi avevo messo sull’avvertita ma non avete voluto ascoltarmi. Oggi, quindi, più di uno di voi si pente amarissimamente di essersi lasciato sedurre ed illudere”.

Pierino Villa, allora operaio anziano e testimone della violenza nazifascista, anni più tardi denuncerà così:
“Venerdì 16 giugno 1944, seduti ad un tavolo del dopolavoro aziendale dello stabilimento San Giorgio di Sestri Ponente si finiva la solita partita a carte con i compagni di lavoro, dopo aver pranzato alla mensa, erano circa le 13 e 50 e si doveva rientrare in stabilimento dopo la sosta di mezzogiorno, timbrando il cartellino prima delle 13 e 55; perciò mi affrettavo a pagare alla cassa e ad uscire dal dopolavoro per ritornare al mio posto di lavoro. Fu allora che vidi molti militari tedeschi della Divisione Alpina intenti a circondare gli edifici dello stabilimento. Il piazzale era pieno delle maestranze; al centro vi erano tedeschi e fascisti. Tutte le uscite erano controllate. Ci fecero disporre su diverse file e cominciarono a selezionarci. A cinque per volta controllavano l’identità: chi era giovane e dall’aspetto sano veniva fatto andare da una parte del piazzale; chi era più anziano o con visibili deformazioni veniva fatto entrare nel piano terra di un vicino reparto. Era evidente che i prescelti sarebbero serviti ai tedeschi per motivi a noi ignoti”.

“Il 16 giugno del ’44, arrivarono tedeschi – aggiunse anche una figura storica del lavoro portuale a Genova e protagonista in quei giorni, quale Giovanni Agosti - ci radunarono e ci caricarono sui mezzi dell’Uite, l’Amt dell’epoca, e ci trasportarono alla stazione ferroviaria di Campi. Caricati sui vagoni iniziò il nostro calvario. Nessuno era riuscito ad avvertire i familiari, nessuno sapeva che cosa ci aspettava ma capivamo che si metteva male e che non avremmo rivisto i nostri cari per molto tempo, forse mai (“Ore 19 partenza - annota nel proprio diario Orlando Bianconi un altro operaio deportato - lungo la linea numerose persone, tra cui donne e fanciulli piangenti, salutano noi e maledicono loro”). Abbiamo fatto tappa al confine, poi a Linz, in Austria, e infine a Mauthausen. Scesi dal treno, dopo un po’ di cammino abbiamo visto i tedeschi disarmare le Brigate Nere che li avevano aiutati nel rastrellare le fabbriche. ““Cianzeivan comme di figgeu piccin”.”. Si vede che non si fidavano di loro. A Mauthausen li hanno messi da una parte, certo non potevano rinchiuderli con noi. Non so che fine hanno fatto. Noi siamo rimasti più di tre mesi a Mauthausen a lavorare duro, dodici ore, giorno e notte. Da mangiare ci davano una sbobba schifosa. Mi feci animo: se volevo sopravvivere, dovevo ingoiarla. Trascorsi tre mesi, hanno cominciato ad assegnarci ai nostri lavori di specializzazione. Smistati in diversi campi - io finii nei pressi di Linz - ogni mattina eravamo condotti in fabbrica”.

Condotti a Mauthausen gli operai divennero ‘schiavi di Hitler’ nell’industria bellica nazista.

“Si facevano i turni - aggiunse Agosti - una settimana di notte e una di giorno, dieci ore a turno. Ricordo dei prigionieri spagnoli, gonfi in faccia per la fame. I tedeschi erano aguzzini”.

Ai nazisti servivano braccia di nuovi schiavi e nell’estate ‘44 il destino di Hitler era oramai segnato con arretramenti generali un po’ dappertutto, in particolare dopo il D-Day.

Il Nord Italia, gestito con la forte complicità dei fascisti di Salò, rimaneva una delle zone ancora utili per quella caccia. Poco importava che fossero operai e non partigiani con le armi in pugno. Serviva?

Nei lager c’erano già 700/800 mila IMI ma non bastavano.

Solo a Mauthausen si stima che gli italiani siano stati più di 6 mila. La maggior parte di loro era destinata al terribile sottocampo di Gusen, ricordato come “il cimitero degli italiani”, per via dell’alto numero di nostri connazionali che vi persero la vita.

Solo nel maggio di 5 anni fa in piena pandemia, il Comune di Genova ha ritenuto opportuno onorare dedicando il porto di Nervi a Luigi Ferraro, un uomo della X Mas di Junio Valerio Borghese (Borghese sì: uno dei figli del fascismo di Mussolini, uno dei padri del fascismo del nostro dopoguerra).

Sbaglierò ma, a mio personale avviso, vi erano a Genova 1.488 altri nominativi ben più meritevoli, se si voleva restare a quel tragico periodo di guerra. Ulteriore conferma dell’Italia attuale post-fascista, poco post ma molto fascista.

Herbert Lionel Matthews, un grande giornalista del New York Times, già nel 1958 un giorno espresse parole di fuoco sul futuro del nostro Paese. “Non avete ucciso realmente il fascismo:

è una malattia di cui soffrirete per decenni e riapparirà in forme che non riconoscerete”.

Riapparirà in forme che non riconoscerete….

Matthews aveva capito tutto già ben 67 anni fa.

1° giugno 2025 – 81 anni dopo - Liberamente tratto dal mio ‘Il tempo che torna indietro – Seconda Parte” - Amazon – 2024

* Coordinatore Commissione Storia e Memoria dell'Osservatorio


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