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28 maggio 2025
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Femminicidio: una patologia culturale
di Francesco P. Esposito *

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L’ergastolo non funziona come deterrente nel femminicidio.

Non lo dico per opinione: lo dicono i numeri, la criminologia, l’esperienza.

Deterrente significa qualcosa che scoraggia dal compiere un crimine.

Una pena che dovrebbe far dire: “Non lo faccio, altrimenti mi rovino la vita”.

Ma chi uccide la compagna, l’ex, la moglie, di solito non ha paura delle conseguenze.

Agisce nel delirio del controllo, nella logica: “Se non è mia, non sarà di nessuno”.

E se anche prevede l’ergastolo, spesso lo considera un danno collaterale accettabile.

O peggio: nemmeno lo calcola.

Per questo serve prevenzione, non solo punizione.

Serve educazione sentimentale: insegnare a riconoscere emozioni, limiti, rifiuti.

Serve educazione sessuale: per capire che possesso, dominio, gelosia non sono amore.

Chi pensa che tutto questo renda i figli deboli, “mollaccioni col monopattino”, è parte del problema.

Perché l’alternativa non è il figlio forte: è il figlio che cresce convinto che l’altro sia un oggetto.

E allora sì, a chi deride l’educazione affettiva, va il mio disprezzo, il mio rifiuto, e anche la mia maledizione civile: essere ricordati come quelli che hanno riso mentre i corpi cadevano.


* Criminologo forense, componente del Comitato tecnico-giuridico dell'Osservatorio


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