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22 maggio 2025
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Patti d'acciaio e memorie d'argilla
di Rinaldo Battaglia *

Dieter Hildebrandt, il grande studioso tedesco sulla ‘manipolazione delle masse’ oltrechè importante artista del kabaret ‘impegnato’, un giorno - in una sua opera - scrisse che la nostra è la generazione di San Tommaso, che ‘crede solo a quello che vede’.

E di manipolazioni delle menti e delle masse, Hildebrandt qualcosa ne sapeva. Il 19 febbraio 1944, appena ragazzo di 16 anni gli misero in mano un fucile, lo vestirono prima da flakhelfer (ragazzo-soldato) della Luftwaffe e il 20 aprile ‘44 lo promossero alle S.S. Il mese dopo avrebbe compiuto 17 anni. Fu uno dei pochissimi dei suo gruppo a salvarsi dalla guerra e riuscire a capire, vivendo, dove portasse per davvero il buio della mente. Soprattutto se insegnato in tenera età.

Hildebrandt si spinse anche oltre: "Crediamo soltanto a ciò che vediamo. Perciò, da quando c’è la televisione, crediamo a tutto". Ed eravamo prima della nascita della tv commerciale, nella sua Germania e soprattutto nella nostra Italia. Nei primi anni del dopoguerra. Figuriamoci ora, dove la verità si mimetizza spesso nelle fake-news, dove con facilità il tramonto viene confuso con l’alba, dove di frequente Abele è posto sullo stesso livello di Caino, e non potendo mantenere in alto il secondo, si abbassa per comodità il primo.

E noi italiani – sul tema ‘confondere’ - siamo sempre stati maestri. Prima gli Italiani, per davvero. E tutti in virtù della libertà conquistata dai nostri padri il 25 Aprile ‘45 lottando e morendo contro il Duce, i nazisti, i fascisti del ‘boia chi molla’, quelli che avevano vietato agli altri la libertà, almeno nel ventennio precedente. Parificare le responsabilità? Confondere le vittime coi carnefici? Considerare ‘ suonatori’ di Kappler e della banda di Pietro Koch a pari livello delle vittime delle Fosse Ardeatine? O i carnefici di Max Simon, guidati dai fascisti di Aleramo Garibaldi, come i martiri di Sant’Anna?

O, se si preferisce, le S.S. di Walter Reder, portati sul Monte Sole dai fiduciari del fascio Giovanni Quadri e Lorenzo Mingardi, come le vittime innocenti di Marzabotto? O a Vinca dove 512 ‘civili’ vennero massacrati dai nazisti, ancora di Reder e ancora in sinergia coi fascisti di zona (questa volta la X Mas di Junio Valerio Borghese, nella sua sezione di La Spezia). Sì, Junio Valerio Borghese, uno dei figli del fascismo di Mussolini, uno dei padri del fascismo del nostro dopoguerra, con uomini onorati anche di recente (come Luigi Ferraro, a cui nel maggio 2020, il Comune di Genova ha dedicato il porto di Nervi).

E’ corretto parificare le responsabilità e confondere le vittime coi carnefici? Gli aggrediti dagli aggressori? Tutti colpevoli, nessun colpevole? Caino come Abele? E nessuno che si chieda a chi, oggi, questo davvero convenga. E in questo la nostra tv pesa molto.

Riabilitiamo pure il Fascismo, sdoganiamo dal passato il Duce e i suoi figli della lupa, dedichiamo vie a Mussolini e suoi ‘bravi’. Onoriamo ‘sempre nei nostri cuori’ con necrologi il 28 Aprile, dimenticando che il Duce non fu iscritto nella War Crimes Commission dell’ONU solo perché già ucciso. Tacitiamo questo, nascondiamo per bene che ben 1.283 fascisti si siano macchiati di crimini di guerra, ritorniamo pure ai motti di ‘Dio Patria & Famiglia’, ma la sostanza non cambia.

Possiamo anche far finta di niente, anche quando uomini delle Istituzioni (sottosegretario Durigon) propongono di sostituire ‘Falcone & Borsellino’ con Arnaldo Mussolini, possiamo anche non capire quanto questo sia pericoloso per la formazione critica e l’educazione morale dei nostri figli, possiamo anche insegnare il disprezzo verso gli altri, insistere nello scontro anziché nel confronto e nel dialogo, ma il passato resta sempre lì, immobile, quale monito per tutti.

E il passato ci permette di capire meglio il presente. Possiamo, oggi in Italia, non capire la pericolosità di questo ‘modus operandi’ nella formazione degli uomini per la prossima generazione, nella creazione dei prossimi ‘flakhelfer’ come i giovani Hildebrandt nel 1944, possiamo insistere nella produzione di memorie di argilla perché ci conviene, ma la Storia non cambia.

Le pene si possono amnistiare, le condanne nascondere, ma i crimini commessi nella Storia rimarranno in eterno. Puoi cancellare, dal mappamondo degli orrori, i nomi di Sant’Anna, Marzabotto, puoi ricordare solo quello e quando ti fa piacere, puoi informare solo di quello che ti genera consenso elettorale, ma il passato resta scolpito nella mente di chi vuol crescere e progredire, non tornare indietro come i gamberi, al tempo degli uomini della Provvidenza, dell’OVRA e delle Leggi sulla Razza.

Perchè chi è ‘uomo’ guarda solo davanti, conoscendo dove porta invece quell’altra strada. Perché chi è ‘uomo’ punta solo al progresso – di qualsiasi tipo e livello, civile e morale in primis – e si pone in competizione solo con se stesso, affinché domani egli per primo sia ‘migliore’ e più maturo di com’era solo ieri. Forse, semplicemente, solo più ‘umano’ e meno ‘bestia’ di ieri.

Si deve crescere non tornare al clima rovente respirato nell’estate 1939. Possiamo anche continuare a ridere su continuate battute infelici di nostri politici filo-fascisti, ma sarebbe oramai opportuno che – anche dopo 80 anni – qualcuno si chiedesse il perché di questa strana ‘nostalgia canaglia’ di un passato quanto meno ‘tragico’ e di cui – come in un film già visto – noi sappiamo le scene finali.

A meno che la Storia abbia proiettato non a tutti lo stesso medesimo film. A meno che coloro che hanno definito il nazifascismo quale il ‘male assoluto’ si siano tremendamente sbagliati. Possiamo non capire le lezioni sull’odio trasmesse a rete unificate dalla nostra politica negli ultimi anni.

Parificare le responsabilità? Confondere le vittime coi carnefici? Abbassare Abele non potendo mantenere in alto, sul podio, Caino? Fare dell’Inferno, il Purgatorio e il Paradiso di Dante un ‘unico‘ canto’? "Crediamo soltanto a ciò che vediamo. Perciò, da quando c’è la televisione, crediamo a tutto".

Chi conosce la Storia sa che la Polonia per Hitler nel ‘39 era una solo nuova tappa, dopo l’Austria, la Cecoslovacchia (Sudeti) per raggiungere i confini del suo spazio vitale, il suo ‘Lebensraum’, nel grande sogno del Terzo Reich, che doveva ricalcare i confini degli Imperi di Germania e Austria-Ungheria dei tempi beati di Guglielmo II e Francesco Giuseppe.

Tornare indietro in altre parole di un secolo, o quasi. Senza tener conto dei cambiamenti storici, umani, sociali, senza tener conto di cosa per davvero pensassero e pensino ‘i residenti’ di quei territori, residenti e territori che ora si vorrebbero cancellare, eliminare dalle cartine geografiche, etichettare in modo diverso, trasformare in un qualcos’altro. Come fossero cose, come fossero ‘non-persone’. Come si ragionava ai tempi di Mussolini e di Hitler.

Perché di solito le guerre hanno un inizio certo, ma poi diventano autonome, indipendenti, camminano - o meglio corrono - con le gambe proprie e per fermarle serve l’intervento di tutti. Sia chi ha iniziato colpevolmente, sia chi ha subito le invasioni altrui, con o senza averne avuto colpa.

Una cosa è certa, storicamente. E il nostro Paese fu parte in causa di quella guerra, di quella immane catastrofe. Anzi, fu la ‘concausa’. E qui non si possono parificare le responsabilità o confondere le vittime coi carnefici. Qui non si può abbassare Abele non potendo mantenere in alto, sul podio, Caino. Fare dell’Inferno, il Purgatorio e il Paradiso di Dante un ‘unico‘ canto’. Non possiamo.

E il tutto ha una data molto precisa, scritta in nero sul calendario della Storia. Solo che in Italia - paese addormentato del ‘Ma ha fatto anche cose buone’ oppure del ‘La colpa è stata solo di Hitler’, traduzione vigliacca del detto ‘i tedeschi erano cattivi, gli italiani buoni’ - nessuno lo sa o se lo ricorda, in perfetta sintonia e coerenza con la nostra memoria d’argilla.

E’ il 22 maggio 1939. Oggi ricorre l’86° anniversario. A Berlino quel giorno vi fu il battesimo della Seconda Guerra Mondiale. Galeazzo Ciano (per conto di Mussolini) e Joachim von Ribbentrop (per conto di Hitler) firmarono il PATTO D’ACCIAIO (Stahlpakt). Fu la ‘dichiarazione ufficiale di guerra al mondo intero’ da parte della Germania nazista e dell’Italia fascista.

Questa è Storia, tutto il resto sono ‘chiacchiere e distintivo’. Questa è Storia, sia che si conosca o non si conosca la sua ‘matrice’. E sarebbe opportuno in Italia analizzare – del Patto d’Acciaio - in modo approfondito il significato dell’art. 3 e art. 5 per le loro conseguenze negli anni successivi.

Sanciscono infatti che se uno dei due Paesi entra in guerra (entra sia come ‘attaccante’ o come ‘attaccato’) l‘altro Paese ‘immediatamente’ lo seguirà (..e quindi il nostro 10 giugno 1940 fu una pura formalità e si era già in colpevole ritardo...). Nessuno dei due Paesi potrà procedere con una pace separata o un armistizio, senza il totale e completo consenso dell’altro. Se avvenisse (per noi sarà il 3 settembre 1943, ufficializzato l’8 settembre) quel Paese sarà traditore del Patto e ne subirà le conseguenze.

L’oroscopo di quel che avvenne, agli ebrei italiani o ai nostri soldati e alle nostre città, prima e dopo l’8 settembre, era già stato scritto anni prima, in un lunedì sera a Berlino. Nell’ignoranza totale, presente e futura, degli italiani.

Con una importante nota però: Mussolini il 22 maggio ‘39 impegnava ‘l’Italia fascista’ (terza riga del testo ufficiale), ma l’Italia dopo il 25 luglio 1943 era ancora ‘l’Italia fascista’? o, meglio, con la firma del 3 settembre dell’armistizio di Cassibile la nuova Italia del ‘post-Mussolini’ aveva tradito o meno il Patto?

A questa domanda 80 anni dopo nessuno ha dato risposte. A conferma che solitamente a Patti d’Acciaio si sposano sempre bene, in Italia soprattutto, memorie d’argilla.

E il tema così rimane il medesimo: parificare le responsabilità e confondere le vittime coi carnefici. Abbassare Abele non potendo mantenere in alto, sul podio, Caino.

Fare del Fascismo e dell'Antifascismo la stessa medesima cosa. Fare dell’Inferno, il Purgatorio e il Paradiso di Dante un ‘unico‘ canto’.

22 maggio 2025 – 86 anni dopo - Rinaldo Battaglia

* Coordinatore Commissione Storia e Memoria dell'Osservatorio


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