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21 maggio 2025
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Una lunga pace (armata)
di David Cappellini

Il "periodo di pace più lungo dal dopoguerra" è finito nel 1989. Ammesso che le varie guerre combattute in giro per il mondo con coinvolti più o meno direttamente gli USA e l' Unione Sovietica, si possano considerare conflitti periferici, sono più di 35 anni che l'Occidente sta combattendo una "guerra permanente".

Tra l'abbattimento del muro di Berlino e oggi, se escludiamo per comodità le diverse recrudescenze del conflitto israelo-palestinese, compresa la tragedia attuale, sono almeno 6 le guerre che hanno visto protagonisti gli Usa e la UE sotto la sigla della Nato e non. Dalla prima Guerra del Golfo si sono susseguite la guerra nei Balcani, l' invasione dell'Afghanistan, la seconda Guerra del Golfo, la lunghissima guerra in Siria e infine il conflitto russo-ucraino nel cuore dell'Europa.

Anche qui sorvoliamo sulle insensate ingerenze politico militari esercitate dall'Occidente in Africa, con interventi militari diretti come quello in Libia che liquido' Gheddafi, dagli esiti disastrosi o tramite le "rivoluzioni colorate" e consideriamo il golpe ucraino e i bombardamenti del Donbass come una semplice appendice dell' attuale conflitto. Rimangono comunque 6 guerre effettive, che con la solita ipocrisia abbiamo definito in modo diverso, ma che nella sostanza hanno provocato qualche milione si, proprio così, qualche milione!) di morti.

Il trucco semantico è stato quello di definire mediaticamente questi conflitti di aggressione imperialista "guerre giuste", "missioni di pace", "difesa dei valori occidentali", "esportazione delle democrazia" e di delegare spesso a organizzazioni difensive come la Nato o a pompose coalizioni internazionali, ammantandole di alti ideali.

In realtà queste guerre nascondevano e nascondono tutt'ora goffamente, la necessità di ribadire un ordine economico e politico che il crollo del bipolarismo del secolo precedente ha pesantemente messo in dubbio, con l'emergere di nuovi soggetti demografici ed economici, come la Cina e l'India e con il fallimento della svendita della Russia post sovietica tentata durante l'era Eltsin.

E in un panorama del genere, in cui le necessità del sistema di produzione sono radicalmente mutate rispetto al secolo scorso, indirizzandosi verso un generale recupero del profitto e una chiara contrazione di ogni meccanismo di ridistribuzione della ricchezza (welfare, spesa pubblica, politiche sociali e del lavoro), è emerso in tutta la sua forza il peso politico-economico dell'apparato militare-industriale.

Questo aspetto, che già negli anni 50 del secolo scorso era stato preconizzato con viva preoccupazione dal presidente americano Eisenhower, ha accelerato il processo di globalizzazione indotto e trasformato il sistema neoliberale sempre più turboliberista e sempre meno democratico, in una macchina aggressiva orientata ad una perenne economia di guerra.

Si prospetta un futuro in cui la guerra diventa un elemento di crescita economica per chi ne sfrutta i benefici, mentre a pagarne il prezzo sono milioni di persone che da produttori-consumatori saranno ridotte ulteriormente al rango di produttori-soldati.

Un futuro così, nemmeno nei peggiori romanzi di fantascienza...


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