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Si faceva chiamare Passero
di
Rinaldo Battaglia *
«Cielo rosso di sangue,
di tutto il sangue dei Sinti
che a testa china e senza patria,
stracciati affamati scalzi,
venivano deportati,
perché amanti della pace e della libertà,
nei famigerati campi di sterminio.
Guerra che pesi
come vergogna eterna
sul cuore dei morti e dei vivi,
che tu sia maledetta.”
Il 18 maggio 2005 – vent’anni fa – moriva a Bolognano d'Arco un uomo che si faceva chiamare da tutti ‘Passero’ o meglio ‘Spatzo’ nella sua lingua sinta.
Spatzo nell’inverno ’44 a soli 17 anni si unì ai partigiani della Val di Non e assunse quel nome, che lo legherà e identificherà per sempre. Il suo vero nome era Vittorio Mayer Pasquale, nato da una famiglia sinta estrekárja di Bolzano, ad Appiano sulla Strada del Vino.
Sopravvivrà alla guerra, sopravvivrà alla devastazione, all'olocausto degli zingari chiamato dagli storici “Porrajmos” e per tutta la vita, scriverà delicate ma coinvolgenti poesie.
Come quella nelle righe precedenti intitolata solo ‘Deportazione”.
Ed è un dolore forte ed una carenza di cultura che le sue poesie e la sua vita siano ancora oggi poco conosciute, quasi nascoste, volutamente dimenticate. Perché parlano di noi, del nostro paese, del fascismo, delle leggi razziali che hanno infangato la nostra Storia.
Dovete sapere che Spatzo era figlio di Giovanna Mayer, nativa di Berlino ai tempi del Kaiser e di Enrico Pasquale arrivato dalle parti di Bolzano dalla Sicilia, forse a causa della Grande Guerra. Aveva un fratello (Francesco nato nel 1922) e una sorella maggiore di due anni (Edvige). Lui nascerà nel 1927 (non vi è una data certa).
Pochi mesi prima, con le prime leggi fascistissime del Duce, in Italia la sua famiglia venne considerata, in quanto zingara, “come tipi criminali”.
E a mano a mano che il fascismo si rafforzava in Italia, man mano crescevano i 'campi di internamento', termine tecnico e vigliacco per non essere costretti ad usare quello più appropriato di ‘campi di concentramento’. Prima della nuova guerra saranno già 25. Dalla Sardegna (Perdasdefogu) al convento di S. Bernardino ad Agnone, in provincia di Campobasso, Tossicia, nel teramano. Ma anche Prignano sulla Secchia nel modenese, Chieti, Torino di Sangro, Novi Ligure o Bojano nel Molise.
Al ragazzo Vittorio (non ancora chiamato Spatzo) toccò quello di Castello Tesino verso Trento, nato l’11 settembre 1940, per ordine di Arturo Bocchini, il braccio destro (ma nascosto) del Duce e capo dell’Ovra, la Gestapo di casa nostra. Anzi, a dire il vero, fu Himmler a clonare la sua Gestapo dall’Ovra, non a caso già operativa sul finire del 1926, quando il Fuhrer non era ancora nessuno. Per la regola bene precisata da Primo Levi che «Il nazismo in Germania è stato la metastasi di un tumore che era in Italia». Cose storicamente vere, ma che da noi oggi in Italia facciamo fatica a conoscere.
Poi arrivò l’8 settembre 1943 e verso Trento da quelle parti arrivò subito, appena passato il Brennero. Tutta la sua famiglia, parenti, zii furono nell’estate ’44 deportati nel 'campo di concentramento' di Bolzano in via Resia. E qui si può ora usare questo termine perchè allora a comandare erano i cattivi nazisti.
Quel giorno casualmente Vittorio, coi suoi 17 anni, non era in casa e così riuscì miracolosamente a nascondersi e poi a fuggire verso la Valle di Non.
I familiari di Vittorio, invece, ebbero diversa fortuna.
Vennero a seguire inseriti nel vagone del 7 ottobre 1944, il cui viaggio da Bolzano finiva quel giorno a Ravensbruck. Tutti tranne la sorella Edvige – che a detta di Vittorio, ora diventato Spatzo – era già stata trasferita, in precedenza, nel campo satellite di Merano e dove a neanche vent’anni trovò la morte. La madre Giovanna Mayer invece arriverà a Ravensbruck e non sopravvivrà al lager. Più fortunato - per così dire - il padre, Enrico Pasquale, che riuscì a salvarsi perché durante un trasporto verso un altro lager, assieme ad altri deportati, tentò con successo la fuga.
Nel frattempo, quel ragazzo di 17 anni era già diventato 'Spatzo'. Dopo essersi nascosto, divenne presto partigiano.
«Aveva 17 anni quando decise di unirsi ai partigiani della Val di Non» ricorderà più volte Guido Margheri, il presidente dell’Anpi locale che in prima persona ha dato risalto a quella vicenda.
«Aveva 17 anni e decise di combattere. Nome di battaglia: “Spatzo”. In lingua sinta significa “passero”. E passeri sono chiamati i tanti rom e sinti che si unirono alle formazioni in montagna».
Non sarà l’unico sinti, come ad esempio Giuseppe Levakovich, detto Tzigari, che divenne partigiano nella brigata Osoppo.
Per i successivi 60 anni di vita Spatzo scriverà poesie contro la guerra, contro ogni fascismo, contro tutte le Shoah, in nome della pace e della libertà.
Sono passati altri 20 anni dalla sua morte. Il suo nome è sconosciuto, il fascismo viene rivalutato ogni giorno di più, le guerre nel mondo per quanto maledette non diminuiscono.
Forse se avessimo studiato di più il fascismo e le sue leggi razziali, se conoscessimo meglio la vita di quell’uomo che si faceva chiamare ‘passero’ probabilmente oggi saremmo un paese migliore.
"Guerra che pesi
come vergogna eterna
sul cuore dei morti e dei vivi,
che tu sia maledetta.”
18 maggio 2025 – 20 anni dopo
* Coordinatore Commissione Storia e Memoria dell'Osservatorio
 
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