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La storia di Simona
di Soumaila Diawara
Razzismo, sessismo, misoginia e odio online: la storia di Simona ci chiede di guardarci allo specchio.
Simona Colosini, bancaria di Calvisano, rischia di morire durante una rapina in Kenya. A dicembre è stata ferita e derubata da una banda, ma ha scelto il perdono. Ha voluto rintracciare uno degli aggressori, colui che, in quel momento drammatico, ha scelto di risparmiarle la vita, e ha deciso di intraprendere un’azione legale contro chi l’ha aggredita online con insulti razzisti e sessisti. Simona ha annunciato che, in caso di risarcimento, devolverà tutto ai bambini keniani.
Eppure, proprio questa sua scelta di umanità ha scatenato una tempesta d’odio sui social. Una valanga di commenti intrisi di razzismo, misoginia e sessismo si è abbattuta su di lei. C’è persino chi ha scritto che “gli africani hanno insegnato agli italiani a uccidere”. Un paradosso talmente assurdo da lasciare attoniti.
Questa vicenda mette a nudo una triste realtà. Una parte della nostra società reagisce con odio ogni volta che qualcuno compie un gesto che va oltre il pregiudizio, la vendetta o l’indifferenza. Simona ha scelto di non restare imprigionata nella rabbia. Ha scelto di guardare l’altro, anche chi l’ha ferita, come un essere umano. E per questo viene aggredita, accusata, insultata.
Ma viene da chiedersi: davvero è colpa degli africani se in Italia esistono violenza e criminalità? Sono stati loro a insegnare agli italiani come sciogliere i bambini nell’acido? A sparare per strada? A uccidere per una scarpa sporcata?
No. I crimini orrendi accadono ovunque, in ogni Paese, in ogni popolo. Perché la violenza non ha colore, non ha nazionalità. È una malattia dell’anima umana, non un’identità etnica.
Allora perché, ogni volta che succede qualcosa all’estero, si cerca una scusa per vomitare odio su intere comunità? Perché chi sceglie di perdonare, invece di vendicarsi, viene accusato di essere “complice” o ingenuo?
E se Simona avesse deciso di devolvere quei soldi a bambini italiani, ci sarebbe stata la stessa reazione? O forse il vero problema, per chi la insulta, è che ha scelto di aiutare bambini neri, africani, lontani?
Simona ha capito una verità profonda: aiutare un bambino oggi può voler dire impedirgli di diventare un criminale domani. Dare una possibilità, offrire un futuro, è un gesto che costruisce pace. È un atto politico, educativo, umano. Ma per comprenderlo serve empatia, visione, cuore. E purtroppo, molti di coloro che la insultano dimostrano di non possedere nulla di tutto questo.
È tempo di smetterla di giustificare il razzismo con i fatti di cronaca. È tempo di dire chiaramente che insultare una donna per aver scelto il perdono è vile. Che attaccare chi decide di costruire ponti è da codardi. Che ogni essere umano ha diritto di scegliere la solidarietà, senza dover subire l’odio di chi non riesce a vedere oltre la propria rabbia o il colore della pelle dell’altro.
Chi oggi odia Simona, domani odierà qualcun altro. Ma chi sceglie di perdonare, di aiutare, di sperare, cambia il mondo. Un gesto alla volta.
E noi, da che parte vogliamo stare?
 
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