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15 maggio 2025
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Referendum: l'indecenza
di Lionello Fittante

Qualche giorno fa il Presidente del Senato, seconda carica dello Stato, primo qualora il presidente della Repubblica avesse un impedimento, ha dichiarato, vergognosamente, che avrebbe fatto campagna per l'astensione.

Non voglio addentrarmi in tecnicismi giuridici (c'è chi richiama l'art 98 del T.U. del 5/2/48 n. 26 per denunciare come tale appello configuri persino un reato), abbiamo visto già in un passato ormai remoto dichiarazioni simili, a partire dall' andate al mare di craxiana memoria.

Anche se c'è una evidente differenza: un conto è un appello, un invito, un auspicio di un politico, un conto quello di un alto rappresentante dello Stato. La differenza è enorme. Perché votare non è solo un diritto, ma un diritto-dovere. Non è un obbligo, certo. Ma la democrazia si basa sulla partecipazione, appunto sul diritto-dovere.

E ciò è tanto importante che prevedere un quorum per i referendum, che non c' è per nessun altra votazione, amplifica, non sminuisce, il valore del voto: il popolo, la cittadinanza, che sceglie direttamente, su singole questioni, che strada intraprendere.

Quindi, politicamente, eticamente, un rappresentante dello Stato dovrebbe sempre invitare alla partecipazione. Non indicare che voto esprimere, ovvio, ma a partecipare.

Ecco, l' uscita di La Russa, sarà pure 'formalmente' possibile, ma eticamente resta inaccettabile. Si dovrebbe capire che c'è un limite di decenza che non si può superare.

Ma, se il ragionamento sulla decenza della e nella politica odierna ha senso, non si può tacere l'episodio odierno, a firma di alcuni esponenti del PD, riguardo i referendum.

Poi alcuni esponenti di tale partito, e pure di un certo 'peso' - Madia, Gori, Guerrini, Picierno, Quartapelle, Sensi - (del più grande partito di sinistra in Italia. Sic) inviano una lettera a La Repubblica in cui dichiarano pubblicamente che non voteranno i referendum sul lavoro (eccetto il solo quesito sulle imprese appaltanti).

Che poi sono quelli che cancellerebbero le stupefacenti 'riforme' del compagno Renzi, che aboliva l' art 18, e che mentre dialogava amabilmente con Marchionne e sbeffeggiava i sindacati, dichiarava che le sue riforme erano quelle più di sinistra di sempre. E lo fanno sapendo, anzi forse per quello, che la Direzione del PD ha deciso invece, come ricorda ridicolmente la segretaria Schlein, di votare e votare 5 SI.

Ora mi chiedo, sempre in nome della decenza, dell'opportunità politica, della coerenza, non della legittimità, se un partito che abbia un minimo di serietà possa tacere su simili iniziative.

Hanno votato l'equiparazione tra nazismo e comunismo, e non è successo nulla (ah già, la Schlein non era nata quando c'era il comunismo). Hanno votato si, no, forse, sul Re-Arm, e non è successo nulla. Organizzano e partecipano a conferenze e lobbysmi in difesa dei massacri di Netanyahu, e non è successo nulla. E finisco l'elenco, perché servirebbe troppo spazio.

Ora queste dichiarazioni, legittime ma indecenti nei modi e nei luoghi, e non succede nulla (ah già, la Schlein non chiede abiure. O cavolo: vuole abolire le leggi Renzi, ma non sono abiure).

Ma cosa altro deve accadere perché chi può si alzi e dica: non si può fare. E non è per limitare le opinioni. Ma in un partito si sta perché si hanno le stesse idee, prospettive, valori. E soprattutto si rispettano le decisioni prese.

Altrimenti ciascuno può dire e fare qualsiasi cosa a prescindere. Non funziona così, non dovrebbe funzionare così. Cari compagni (qualcuno, sono certo, sopravvive anche in quel partito), che altro aspettate?

Non resta quindi, anche in questo caso che dire, come per il Presidente La Russa: c'è un limite anche all'indecenza.


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