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15 maggio 2025
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Uccidere una donna non è grave
di Francesco P. Esposito *

UCCIDERE UNA DONNA NON È GRAVE (ma non credetemi sulla parola)

Credete invece alle parole gelide e chirurgiche scritte da Luigi Capasso, carabiniere di Cisterna.

Le scrisse prima di sparare due colpi in faccia alla moglie Antonietta, prima di salire in casa e uccidere le figlie Alessia e Martina. Poi si ammazzò.

Lo Stato? Gli aveva appena restituito la pistola d’ordinanza.

Gliela lasciarono i colleghi, in un clima di testosterone e solidarietà maschile, come a dire: “Dai, tienila. Che saranno mai le lamentele di tua moglie...”

Scrive ai genitori: “Scusate se ho fatto quest’ennesima cavolata, ma lei mi ha fatto troppo del male. Vi lascio un assegno, fatevi un bel regalo.”

Una cavolata.
Due figlie morte.
Una madre devastata.
Un uomo che si fa giudice e carnefice.

E il suo crimine? “Una cavolata”.

Ecco cosa succede quando si banalizza l’odio.

Quando si dice che femminicidio è solo un omicidio come un altro.

No, non lo è.

Non lo è quando l’uomo uccide per punire la libertà della donna.

Non lo è quando l’assassino vede la propria solitudine come colpa dell’altra.

Se ammazzo mia sorella per l’eredità è omicidio.

Se ammazzo Laura perché ha deciso di andarsene da me, è femminicidio.

Perché lì non uccido solo lei: uccido la sua libertà.

Chi cancella questa parola vuole cancellare la responsabilità sociale, culturale, strutturale che ci riguarda tutti.

Vuole tornare al tempo delle “cavolate”.


* Criminologo forense, componente del Comitato tecnico-giuridico dell'Osservatorio


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