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La nota stonata nella musica di Mussolini
di
Rinaldo Battaglia *
Siamo da sempre un paese strano, dove talvolta l’arte ha successo o meno a seconda delle idee politiche dei protagonisti. Basta guardare certi programmi attuali della nostra tv. Il segreto di longevità di molti artisti sta nel cantare sempre sulla musica predisposta da chi detiene il potere. Potere politico, economico, d’informazione poco cambia. Ammesso che poi vi siano davvero differenze e non sia la stessa sostanza, sebbene in forme diverse.
E così primari artisti a livello mondiale vengono scartati o accantonati. Magari all’estero restano cercati e riveriti, da noi invece semi-dimenticati.
Tra questi sicuramente spicca il nome di Arturo Toscanini, da esperti ritenuto il direttore d’orchestra più autorevole nel dirigere le musiche di Verdi, Beethoven, Brahms e Wagner. La vetta del paradiso in altre parole. Basti solo pensare che nel 2011, ben 54 anni dopo la sua morte, secondo la rivista 'Classic Voice', forse la più importante e prestigiosa a livello mondiale, lo classificò tra i 4 più grandi direttori d'orchestra di tutti i tempi, assieme a miti come Carlos Kleiber, Leonard Bernstein e Herbert von Karajan. Tutti gli hanno sempre riconosciuto la maestria nella cura dei dettagli, nella brillantezza dell’intensità del suono, nel perfezionismo e nel l'abitudine di dirigere senza partitura grazie a un'eccezionale memoria fotografica, come scrisse Andrea Della Corte (in ‘Arturo Toscanini - Edizioni Studio Tesi - 1989).
Da noi in Italia, a parte gli addetti ai lavori, non ha mai goduto di analogo e così elevato riconoscimento. E la causa va al suo ruolo di antifascista ai tempi di Mussolini. Quando la musica doveva essere a senso unico e con note tutte allineate. Non erano concesse note stonate anche se di alto, altissimo livello.
Eppure inizialmente, da giovane, era stato come Mussolini di idee socialiste e poi lo aveva addirittura seguito nel programma fascista. Persino, nel 1919, a 52 anni aveva accettato l’offerta di Mussolini di candidarsi nella sua lista, alle elezioni politiche nel collegio di Milano tra i ‘fasci di combattimento’. Non venne però eletto.
Ma fu da lì che Toscanini cominciò a capire il futuro del Duce e a temerlo, per sé e per l’Italia. In breve, divenne un forte oppositore, ben prima della marcia su Roma.
E dopo la presa del potere di Mussolini, solo l’alto prestigio internazionale, gli permise ancora di lavorare in Italia magari dove la gestione dei teatri era ancora sufficientemente autonoma dal regime. Come all'Orchestra del Teatro alla Scala diretta fino al 1929.
Ma man mano che il regime si rafforzava, tra le leggi Fascistissime e i confini degli oppositori, l’ambiente gli divenne sempre più ostile. I gerarchi fascisti attivarono una vigliacca campagna di stampa sia sul piano artistico che sul piano personale. Tipico delle culture totalitarie e fasciste in particolare. Fu oggetto di spionaggio delle telefonate, controllo ferreo della corrispondenza, ritiro frequente del passaporto, anche ai suoi familiari. Minacce più o meno velate sulla sua vita.
Tutto questo mentre all’estero era ricercatissimo affinché dirigesse ancora la 'New York Philharmonic', che nel 1930 – tra un ritiro e l’altro del passaporto - portò in un prestigioso tour in Europa. Persino tra il 1930 e il 1931 venne nominato a dirigere, nella Germania prima di Hitler, nel Festival di Bayreuth in Baviera, tempio di Wagner. Era la prima volta che questo avveniva per un direttore d’orchestra non tedesco. Forse il massimo allora possibile, il massimo riconoscimento artistico.
Ma questo era il mondo, noi eravamo in Italia, noi eravamo ‘fascisti’. Convintamente indifferenti o fanaticamente fascisti.
Tutto precipitò la sera del 14 maggio 1931, 94 anni fa. Il maestro Toscanini era stato invitato a Bologna a dirigere, al Teatro Comunale, un concerto della locale orchestra in commemorazione di Giuseppe Martucci, un altro grande direttore d’orchestra nella 22° ricorrenza della sua morte e vecchio direttore del conservatorio di Bologna.
Era tutto stabilito ed organizzato, ma improvvisamente poche ore prima del concerto, i gerarchi del fascio della città lo informarono che sarebbero stati presenti – tra gli altri - anche due vertici del regime: Leandro Arpinati e Costanzo Ciano. Pertanto, era d’obbligo introdurre il concerto, come era prassi nelle cerimonie ufficiali, con gli inni fascisti di Giovinezza e Marcia Reale, in onore al Duce.
Toscanini non ci pensò due volte. Era improponibile. Passarono ore di contatti, minacce, ricatti e contro-ricatti ma se lo volevano a dirigere, quella sera, l’orchestra si doveva seguire il programma iniziale, senza alcun cenno al regime, senza compromessi, giochi di parole o saluti nascosti al Duce. In caso contrario se ne sarebbe andato via. Già qualcuno pensava all’immagine all’estero di Mussolini e della figuraccia che faceva nei confronti del grande direttore.
Dopo telefonate con Roma, si decise di togliere l’ufficialità fascista al concerto: tutti i gerarchi, Leandro Arpinati e Costanzo Ciano per primi, se ne andarono via subito e di conseguenza l’esecuzione degli inni non era più di necessaria e obbligatoria. Toscanini aveva vinto, il fascismo quella sera perduto.
Ma i serpenti se non possono subito mordere, mandano avanti altri simili sebbene di minor prestigio, rimandando il loro veleno alla prima occasione utile.
Il Maestro Toscanini, al suo arrivo in macchina al teatro in compagnia della figlia Wally, - proveniente dall'albergo e pronto a dirigere il concerto - appena sceso, fu vigliaccamente assalito da un folto gruppo di fascisti. Venne percosso e schiaffeggiato, colpito da pugni in viso e sul collo. Sembra che la camicia nera più attiva fosse un fascista della zona, Guglielmo Montani, tra i più fanatici e violenti del bolognese.
A salvare il maestro dalla furia degli assalitori, senza peraltro che nessuno intervenisse, fu solo la prontezza dell’autista del maestro che lo spinse con forza in macchina, riuscendo poi con astuzia a riportarlo via verso il suo albergo. Ma il gruppo di fascisti, sempre indisturbato – del resto carabinieri e polizia erano spesso, se non sempre, ‘culo e camicia’ col regime – lo raggiunse ancora e intimò al Maestro di andarsene immediatamente da Bologna, altrimenti nessuno avrebbe garantito per la sua incolumità. Quel concerto ‘non si doveva fare’.
Toscanini verso le ore 2 della notte, deluso e amareggiato, dopo aver dettato un durissimo telegramma di protesta al Duce in cui denunciava per filo e per segno quanto avvenuto – definirà i suoi fascisti “una masnada inqualificabile”- e aver rifiutato la visita di un medico legato al regime, partì in macchina da Bologna diretto a Milano.
Mussolini vigliaccamente non rispose mai a quel telegramma ma i vertici del suo staff intervennero subito sulla stampa – come se ce ne fosse stato bisogno, collusa e silente com’era – affinché non scrivesse una sola parola di quanto avvenuto. Così avvenne in Italia, meno sulle colonne dei giornali esteri, ma non nell’immediato.
Anni dopo, persino, Albert Einstein lo ricorderà in una sua nota rivolta al grande Maestro:
«(…) Lei non è soltanto un impareggiabile interprete della letteratura musicale mondiale (…). Anche nella lotta contro i criminali fascisti lei ha mostrato di essere un uomo di grandissima dignità ..»
Poco dopo, appena tecnicamente possibile, il Maestro Toscanini se ne andò dall’Italia, stabilendosi essenzialmente a New York (dove peraltro morirà il 16 gennaio 1957 all’alba dei suoi 90 anni). Tornerà in Europa (Svizzera e Austria prima dell’arrivo di Hitler) e in Palestina ma mai in Italia finchè c'era Mussolini.
Fu invitato personalmente anche da Hitler che lo voleva ancora una volta al Festival di Bayreuth. Ma inevitabilmente Arturo Toscanini rifiutò, spiegando in una sua lettera di risposta al Fuhrer esattamente cosa pensava del nazismo e della sua disumana politica razzista.
Durante la Seconda guerra mondiale diresse esclusivamente concerti di beneficenza a favore delle forze armate statunitensi e della Croce Rossa, riuscendo a raccogliere ingenti somme di danaro. Si adoperò anche per la realizzazione di un filmato propagandistico nel quale dirigeva due composizioni di Giuseppe Verdi dall'alto valore simbolico: l'ouverture della Forza del destino e l'Inno delle Nazioni, da lui modificato variando in chiave antifascista l'Inno di Garibaldi e inserendovi l'inno nazionale statunitense e L'Internazionale.
Il 13 settembre 1943, dopo la nostra resa dell'8 settembre, la rivista statunitense Life pubblicò un lungo articolo di Arturo Toscanini col titolo Appello al Popolo d’America. L’articolo era in precedenza un’accorata lettera privata di Toscanini al presidente Franklin Delano Roosevelt.
Tornò in Italia solo l'11 maggio 1946 per dirigere lo storico concerto di riapertura del Teatro alla Scala, ricordato come 'il concerto della liberazione', dedicato in gran parte all'opera italiana, e – si disse - per votare a favore della Repubblica. Quella sera il teatro si riempì fino all'impossibile: il programma vide l'ouverture de La gazza ladra di Rossini, il coro dell'Imeneo di Händel, il Pas de six e la Marcia dei Soldati dal Guglielmo Tell e la preghiera dal Mosè in Egitto di Rossini, l'ouverture e il coro degli ebrei del Nabucco, l'ouverture de I vespri siciliani e il Te Deum di Verdi, l'intermezzo e alcuni estratti dall'atto III di Manon Lescaut di Puccini, il prologo e alcune arie dal Mefistofele di Boito. Un successo immenso e solo allora l’Italia capì quanto il fascismo ci avesse rubato durante la sua dittatura.
In quella storica occasione chiese, inoltre, la totale reintegrazione di tutti i musicisti ebrei che erano stati cacciati per le ‘infami’ leggi razziali di Mussolini, da lui definite ‘roba da medioevo’.
Mussolini e il suo regime: 'roba da medioevo'. Dove trovare parole più adeguate?
Il 5 dicembre 1949 Toscanini venne nominato senatore a vita per alti meriti artistici, ma decise di rinunciare alla carica il giorno successivo. Da New York mandò un telegramma di rinuncia all'allora Presidente della Repubblica Luigi Einaudi:
“...Schivo da ogni accaparramento di onorificenze, titoli accademici e decorazioni, desidererei finire la mia esistenza nella stessa semplicità in cui l'ho sempre percorsa. Grato e lieto della riconoscenza espressami a nome del mio paese pronto a servirlo ancora qualunque sia l'evenienza, la prego di non voler interpretare questo mio desiderio come atto scortese o superbo, ma bensì nello spirito di semplicità e modestia che lo ispira...”,
Il maestro Toscanini era una nota stonata nella musica di Mussolini, mentre in Italia altri senza dignità accettavano il silenzio contro le ingiustizie e contro i soprusi del fascismo.
Se avete in qualche angolo del nostro Paese una via ancora senza nome non dedicatela ai megafoni di Mussolini o ai suoi ladri ed assassini, ma usate il suo nome in modo tale che un domani i miei nipoti sappiano chi sia stato il grande Maestro Arturo Toscanini: non soltanto uno dei 4 più grandi direttori d'orchestra di tutti i tempi, ma un uomo che aveva fatto della 'dignità' la sua musa ispiratrice. Era una nota stonata, però, in un’orchestra di sordi.
14 maggio 2025 – 94 anni dopo – Liberamente tratto dal mio ‘Il tempo che torna indietro – Seconda Parte” - Amazon – 2024
* Coordinatore Commissione Storia e Memoria dell'Osservatorio
 
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