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Referendum passati sotto silenzio
di
David Cappellini
I referendum di giugno stanno passando un sotto silenzio mediatico quasi assoluto, perché governo e parte delle opposizioni sperano nel non raggiungimento del quorum.
Con le TV ed i giornali asserviti ai gruppi di potere che contano in Italia e che di fatto li possiedono quasi tutti, non era difficile immaginarsi che le cose andassero così.
L'Italiano medio poi, è ormai assuefatto e rassegnato, che si interessa molto di più della elezione di un capo di stato di un paese straniero, che di conoscere i 5 quesiti, 4 dei quali sarebbero fondamentali per il destino di milioni di giovani futuri lavoratori.
Sono oltre 30 anni che il diritto al lavoro in Italia viene sistematicamente e progressivamente distrutto, sia dalla destra che dalla sinistra. Anzi, ad essere onesti, le peggiori riforme del lavoro le hanno fatte i governi tecnici sostenuti dalla sinistra e i governi presieduti dalla sinistra.
Inutile stare a ripetere la cronologia delle leggi ad hoc che hanno precarizzato il lavoro, dai Co.co.co ai contratti a progetto, passando dalla riforma Fornero fino al job Act's renziano.
I risultati sono quelli che vediamo, con milioni di sottoccupati che i "miracoli meloniani" al massimo trasformano in lavoratori poveri, visto che siamo ormai oltre i 6,5 milioni di occupati a tempo indeterminato che hanno un salario sotto la soglia della sussistenza.
La ricetta è stata semplice e sempre quella: abbassare il costo del lavoro, flessibilizzando le garanzie, bloccando gli stipendi e togliendo le tutele più favorevoli per i lavoratori, il tutto in nome della competitività.
E gli Italiani hanno accettato un vero e proprio massacro sociale cadendo spesso nella trappola preparata loro dai governi nazionali e dalla Unione Europea, che stringendo i vincoli finanziari ha sempre chiesto riforme strutturali tra le quali quella del lavoro. Adesso che con 4 quesiti referendari si chiede di rivedere ed eliminare gli ultimi due scempi commessi contro il futuro di milioni di appartenenti alle nuove generazioni, l'establishment tace o se si pronuncia dai vertici delle massime istituzioni, chiede l' astensione.
E anche dall'opposizione, una buona parte della quale sempre establishment è, si vuole difendere il job act's con una menzogna. Si dice cioè, che se vinceranno i SI, ritornerà in auge la riforma Fornero, che era peggiore del Job Act's. In realtà non è vero, perché saranno reintrodotte le cause con giudizio del giudice caso per caso, l'obbligo della causale sino dal primo rinnovo e più responsabilità per il committente, cioè l'azienda, che la riforma renziana deresponsabilizzava completamente.
In una democrazia i rapporti tra aziende e lavoratori vanno riequilibrati in modo tale che poi sia possibile una concertazione, non vanno tolti i diritti ad una sola parte per favorire esclusivamente le logiche di mercato.
Fino a una trentina di anni fa era un concetto lapalissiano, poi la sbornia neoliberista ha annientato la capacità di discernimento politico e la necessaria fiducia nel ruolo dei sindacati, che spesso con la loro inazione e con la loro complicità, hanno avallato scelte disastrose.
Ora la palla passa all' elettorato, che dovrebbe andare in massa alle urne e votare SI per tutelare le generazioni attuali e quelle future e per far capire che il benessere e la stabilità sociale in genere, si reggono su un diritto inalienabile come quello al lavoro, non sulla sua soppressione.
È un concetto osteggiato, ma essenziale e proprio perché a minarlo sono quelli che non lavorano e non hanno mai lavorato, ci vorrebbe una sollevazione generale per non farselo sfilare, non un clima di indifferenza cimiteriale.
 
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