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Quando a Terezin arrivarono i russi
di
Rinaldo Battaglia *
8 MAGGIO 1945: A TEREZIN ARRIVANO I RUSSI
Negli ultimi mesi la situazione a Terezìn non fece che peggiorare. Himmler e i suoi Generali, convinti che quanto prima nel lager si fosse messa in funzione la grande camera a gas e nell’ottica di sostituire Auschwitz, oramai perduta, già dal 17 gennaio iniziarono ad indirizzare verso Terezìn migliaia di disperati, sopravvissuti alle marce. Ma nel lager d’arrivo, i viveri erano già scarsamente insufficienti per i ‘residenti’ e, ora, inevitabilmente la fame dei vecchi si sposò con quella dei nuovi.
C’era sì spazio liberato dai ‘viaggiatori’ di settembre ed ottobre e dalle continue e crescenti morti ‘naturali’, ma era inverno e anche la produzione agricola degli orti, anche se pomposamente chiamati ‘giardini’, serviva a poco. I nuovi arrivati, inoltre, portarono in dote altre malattie, eredità da dove provenivano. Come se a Terezìn non ce ne fossero già. E soprattutto a marzo, soprattutto dopo l’arrivo di migliaia di disperati da Ravensbruck si diffuse, a ritmi di contagio degni del Covid-19, una preoccupante epidemia di tifo.
Ad aiutare il ‘destino’ di Terezìn intervenne nuovamente Himmler, coi suoi scambi e i suoi baratti. Aveva ancora molte partite ‘contabili’ aperte con la Croce Rossa Internazionale, ancora ben prima della visita ‘addomesticata’ di Maurice Rossel. Ma, proprio ora, serviva rafforzare il flusso di denaro dalla Svizzera alle banche argentine e se nel film il ‘the end’ era a breve, bisognava non perdere tempo e velocizzare le azioni. Ad inizio febbraio, mentre il mondo si chiedeva, stupito, cosa fosse Auschwitz e come nella propria lingua si traducesse in maniera esatta la parola ‘lager’ (da noi in Italia si continuava a chiamarlo ‘campo di lavoro coatto’ come insegnava a Salò il gen. Rodolfo Graziani), Himmler barattò con la CRI di Ginevra la liberazione di 1.210 ebrei di Terezìn, che vennero presi a caso, soprattutto tra gli olandesi, e autorizzati di arrivare illesi in Svizzera. Come avvenne.
Ebrei usati come ‘moneta di scambio’.
Se non era vigliaccheria, cos’è?
Nessuno inizialmente fu mai in grado di capire perché quel numero, perchè soprattutto olandesi e in particolare quale fosse la merce di scambio. Strada facendo venne fatta un po’ di luce, pur non escludendo altre motivazioni e altre strada più o meno note.
Due facoltosi coniugi ebrei svizzeri, Ytzchak e Recha Sternbuch ad inizio ‘45 convinsero un politico, molto noto e stimato, ad intervenire in prima persona. Era Jean Marie Musy, anziano (aveva 71 anni) ex Presidente della Confederazione Svizzera, dal 1925 al 1935, uomo bene inserito anche nel mondo della finanza svizzera, per altri prestigiosi incarichi avuti, quali ad esempio Responsabile delle Finanze. Ora era in pensione, ma per tutti restava una garanzia. Data l’età, coinvolse anche il figlio Benoit Musy. Si disse che il ‘prezzo’ della liberazione dei 1210 deportati fosse un versamento su banche della Svizzera, con denaro raccolto dagli Sternbuch in collaborazione con varie organizzazioni ebraiche svizzere, da rabbini ortodossi emigrati da tempo negli Stati Uniti e dal capo della comunità ebraica in America, il rabbino Stephen Wise, molto ‘attivo’ da sempre nel recuperare fondi per ‘salvare’ deportati, anche tramite ‘l’American Jewish Joint Distribution Committee’ creato ad hoc.
L’entità del versamento ad Himmler? Si parla di ben 1.250.000 dollari. Mille dollari per ebreo, in altre parole. Probabilmente anche qui Himmler fece la cresta visto che sembra, a prima analisi, mancassero 40 deportati sul conto pagato.
Sul pagamento effettivo però non tutti concordano. Alcuni storici, come David Kranzler (da David Kranzler, in 'Three who tried to stop the Holocaust' e da David Kranzler e Joseph Friedson in 'Heroine of Rescue: The Incredible Story of Recha Sternbuch Who Saved Thousands from the Holocaust', Artscroll History Series, Mesorah Publications Ltd, ISBN 978-0-89906-460-4), sono arrivati a dire che addirittura non avvenne. Non è dato a sapersi, ma sembra strano che Himmler sia stato bidonato. Più probabile che il ‘bonifico’ sia transitato solo su banche estere, e probabilmente sud-americane. Il classico ‘estero su estero’, insomma.
Sul perché la ‘transazione’ riguardasse soprattutto olandesi è ancora più nebuloso. L’Olanda venne liberata in toto solo il 5 maggio ‘45, ma la parte meridionale del paese era già passata agli Alleati ancora nell’estate precedente. Certo, era messa molto meglio della Cecoslovacchia, dell’Ungheria e decisamente dei tedeschi di Germania o dell’Austria, ma i deportati olandesi vennero qui favoriti e gli altri, rimasti nel lager, pagarono ancora colpe non loro, dovute solo al destino dei loro paesi d’origine. Non è escluso peraltro che fosse una richiesta specifica di qualche altro importante finanziatore e/o benefattore ebreo della CRI, probabilmente spinto da interessi umanitari e/o coinvolto dai coniugi Sternbuch, magari di origini olandesi. O dei rabbini statunitensi. In ogni caso, per quei 1210 deportati fu comunque la fine di un incubo e non la cosa non va, assolutamente, sottovalutata.
Ma non fu di certo il primo ‘scambio’ contro denaro. Già nell’aprile ‘44 due ebrei importanti e supportati finanziariamente dagli Alleati – il rabbino slovacco Michael Dov Weissmandel e il militante sionista Gisi Fleischmann – avevano ‘barattato’ un rallentamento’ delle deportazioni nella Slovacchia, in cambio di cosa, e pagato a chi e dove, mai si seppe. Ma le deportazioni diminuirono sensibilmente, in quella zona da quel momento.
Lo stesso poco dopo in Ungheria. Dapprima una trattativa non andata a buon fine, ove Eichmann richiedeva come ‘prezzo’ ben 10.000 camion (che i nazisti avrebbero usato forse contro l’Armata Rossa). Poi il 15 luglio ‘44, un emissario ebreo quale Rudolf Kastner, membro dello Judenrat di Budapest, venne autorizzato a trattare la partenza di un treno speciale verso la Svizzera di ben 1.684 ebrei della capitale, ‘pagati’ sempre 1.000 dollari a testa. Pagamento finanziato ancora con fondi degli Alleati e – probabilmente - su banche sud-americane, dove i dollari erano più facilmente spendibili e meno svalutabili a guerra finita dei marchi tedeschi.
Ma non furono ovviamente le uniche operazioni. Prima di ‘saltare’ anche il Duce rumeno, Antonescu, cercò di vendere 70.000 ebrei della Transnistria (Moldavia oggi) per 200 sterline cadauno. Indipendentemente se fossero maschi o femmine, adulti o bambini. Un tanto al pezzo, o meglio ‘stuck’ come dicevano i nazisti.
Prezzi da ‘saldi finali’, prima del fallimento aziendale. Sembra che poi il tutto non andò in porto, per il diniego degli inglesi. Come saltò uno scambio, sul finire del ‘43, tra alleati e nazisti per 5.000 bambini orfani ebrei contro 20.000 prigionieri di guerra tedeschi, in buona salute. Serviva anche un ‘conguaglio’ in dollari da bonificare su un conto in Svizzera: i fondi vennero trovati dal Congresso Ebraico Mondiale, grazie al solito Stephen Wise, ma i Vertici degli Alleati si opposero. Non si poteva in quel momento rafforzare il nemico, in vista del D-Day. Altri scambi non andarono a buon fine per lo stesso motivo: nel marzo ‘43 gli inglesi stopparono un’offerta di 60.000 ebrei bulgari contro un numero consistente di prigionieri nazisti (non si conosce con esattezza la loro entità), che ad Hitler allora servivano come il pane, dopo la disfatta a Stalingrado.
Che dire? Al mercato rionale c’erano regole diverse? Nella fiera dei cavalli del mio paese natale si operava in maniera diversa? Forse sì, vi era più rispetto per la ‘merce’ in vendita. Ma con dei ‘distinguo’, ora.
Perchè se tutte le leggi razziali, se tutto quel ‘modus vivendi’, se tutte le ‘regole’ della Shoah erano basati sul denaro, lire o marchi a seconda del caso, lire o marchi a seconda del luogo, questo era operativo per i ‘comuni’ criminali, i piccoli ‘dettaglianti’, come Mauro Grini.
Invece, per i ‘grandi criminali di guerra’ - quelli studiati ed analizzati dalla War Crimes Commission dell’ONU – si preferiva di certo il pagamento cash in dollari. Era la moneta del nemico, era la moneta delle banche americane, gestite da manager ebrei e di proprietà, per primi, degli azionisti ebrei. Incoerenza? No, solo business. E saranno pagati in dollari anche i beneficiari dell’Ustasha Treasury di Ante Pavelic, il duce croato, e i vari ‘topi in fuga’ tramite la vaticana Rat-line del vescovo Alois Hudal ai tempi maledetti di Pio XII . Citofonare ancora al Credit Suisse per la vecchia filiale della Schweizerische Kreditanstalt di Buenos Aires. E, del ‘club’ della Rat-line, Himmler era socio fondatore ed onorario.
Dopo gli olandesi, Himmler trattò e barattò, come noto, con Cristiano X nuove concessioni, liberando i prigionieri danesi giunti a Terezìn a metà ottobre ’43. Le trattative tramite il diplomatico Folke Bernadotte, nipote del Re di Svezia Gustavo V e Presidente della Croce Rossa svedese, proseguirono a ritmi serrati sin da febbraio e si chiusero con la liberazione del 15 aprile di 423 danesi (alcuni degli iniziali 484, erano deceduti, i più anziani e solo di morte naturale, ma alcuni bambini erano nati e altri deportati si unirono nel campo con nuovi compagni, che anche loro vennero ‘salvati’ e autorizzati a partire verso la Danimarca).
A sostituire gli olandesi e i danesi, soprattutto dopo l’8 marzo arrivarono gruppi importanti di ebrei, provenienti dai lager in fase di liberazione dall’Armata Rossa, anche dalla vicina Ungheria e dalla confinante Slovacchia. E’ da ipotizzare oggi che, per i generali di Hitler in fuga, Terezìn risultasse ancora il lager più sicuro, per raggiungere l’obiettivo primario di rendere ‘judenfrei’ il mondo. Obiettivo su cui il Fuhrer aveva garantito il successo ai nazisti e a cui i nazisti avevano giurato il massimo sforzo e fedeltà assoluta.
E’ pressochè impossibile, storicamente, indicare quanti ebrei arrivarono vivi a Terezìn da altri lager, in questa fase. Probabilmente tra i 15.000 e i 20.000. E altrettanto impossibile dire quanti ne morirono.
Quello che venne accertato, fu che il 5 maggio il ‘lager-kommandant’ Rahm, bene armato ed in divisa lucida da S.S, e a seguire tutto il suo staff, la Werhmacht, le stesse S.S. e guardie delle Ghettowache fuggirono a più non posso dal lager. Con ogni mezzo e per ogni strada che fosse diretta verso Berlino, che a detta di Hitler non sarebbe mai caduta. O, forse più facilmente e vigliaccamente, era meglio arrendersi agli Alleati che cadere in mano ai Sovietici. Con gli Alleati raggiungere le vie della Rat-line erano più facile. Non altrettanto coi Russi di Stalin, dove al posto del caldo afoso dei Tropici trovavi il freddo gelido della Siberia. Se ti andava bene. Prima di scappare, come ladri, Himmler aveva però concordato e barattato con la Croce Rossa l’affidamento del campo, in cambio ancora di chissà cos’altro, bonificato chissà dove.
Un mese prima, il 6 di aprile, nel contesto della trattativa per liberare i ‘danesi’, la CRI fece una nuova visita a Terezìn. Questa volta senza limousine ad aspettarla, senza cottillons e villaggio Potèmkin, quasi di nascosto e in maniera carbonara. Gli incaricati parlarono con Rahm e con Murmelstein, il quale peraltro concesse – strano a dirsi - una propria analisi che ora non sorprese nessuno: “la sorte di Theresienstadt mi preoccupa”. Ora? E prima, no? A visita conclusa, la CRI chiese ad Himmler tramite il Ministro per il Protettorato, Generale SS Karl Hermann Frank di assumere la gestione totale del lager. Era presto per Himmler, non era ancora il momento. In tutti i business c’è sempre un’offerta, un diniego immediato e poi una contr’offerta. Anche alla CRI interessava Terezìn: doveva coprire le nefandezze del giugno’44. Ed Himmler lo sapeva di certo.
Il 17 aprile, partiti i danesi, il lagerkommandant Rahm fece inscenare una rivolta dei deportati, facendo così capire che era pronto ad uccidere qualche migliaio di ebrei in quanto ‘rivoltosi’. Messaggio in codice verso qualcuno per accelerare delle trattative? Il 21 aprile si sviluppò ulteriormente l’epidemia di tifo e, a differenza del passato, nessuno delle S.S. intervenne, come quasi non fosse loro compito, come quasi il contagio a loro non arrivasse o fossero già immuni e vaccinati. I deportati morivano in continuazione, le strade erano coperte di corpi di deceduti. Non serviva la galleria sotto la Kleine Festung, la Piccola Fortezza, gli ebrei morivano copiosamente lo stesso e senza necessitare la spesa del veleno.
Qualcosa di nuovo successe nelle settimane successive e non solo per il suicidio di Hitler nel bunker di Berlino. Himmler dette l’ok a Rahm ed il 5 maggio, appunto, abbandonò il campo, lasciando tutti gli oneri al Delegato della CRI, Paul Dunant, già appositamente giunto a Terezìn. Due giorni dopo, prima di sera, arrivarono le truppe dell’Armata Rossa e dalla mattina successiva, l’8 maggio, Terezìn passò sotto i Russi. Poche ore prima, all’alba del 7 maggio a Reims il gen. Alfred Jodl firmava la resa dei nazisti operativa dal giorno 8, verso gli Alleati. Stalin non presente coi suoi uomini, già da vera Guerra Fredda, volle che fosse ripetuta solo per i Russi e nella tarda serata del giorno 8 (per motivi di ore solari era già il 9 maggio in Urss) il feldmaresciallo Wilhelm Keitel firmò, a Berlino, anche davanti al gen. Georgij Zhukov.
A Terezìn così tra il 7 e l’8 maggio arrivarono i Russi, che oramai erano esperti di ‘liberazioni’. Prima di giungere ad Auschwitz, avevano già visto ‘cadaveri’ camminare il 22 luglio 1944, quando l'8ª Armata – passando davanti alle ‘fabriken’ tessili ed aeronautiche della Heinkel, dove erano morti migliaia di schiavi ebrei, sterminati nel lavoro infinito - era entrata a Majdanek . Trovarono mille ‘scheletri’ in piedi , oltre i confine della vita. Un esperto giornalista inglese, Alexander Werth, presente quel giorno, non riusciva a trovare parole idonee, perduto nella “vasta, monumentale, caratterizzazione industriale di quell'incredibile fabbrica della morte a tre chilometri da Lublino” e soprattutto spaventato dalla vista delle “camere a gas, dei mucchi di cenere, del crematorio e dello scavo lungo trenta metri pieno di cadaveri nudi”.
Fu quello il primo lager nazista ad esser liberato, filmato, documentato. Era il 22 luglio ‘44, 2 giorni prima Hitler era sopravvissuto all’attentato nella ‘Tana del lupo’ e si era incontrato col suo gemello Mussolini, il primo a congratularsi per lo scampato pericolo. Affinchè il mondo capisse cosa fosse un lager, come operasse la ‘macelleria di Hitler’, vedesse il vero volto del nazismo, si dovette attendere un altro milione di morti e l’arrivo ad Auschwitz, il lager dei lager, la ‘capitale della Shoah’, 6 mesi dopo.
E a Terezìn? A Terezìn molti continuavano ad arrivare disperati da altri ex-lager, tutti spinti soprattutto dalla fame, e molti continuavano a morire. Solo in un controllo del 19 maggio della stessa CRI ben 2950 ebrei - da ora, per l’anagrafe storica, da considerarsi ‘ex deportati’- risultavano ammalati di tifo. Ci vollero potenti medicinali e forti azioni sanitarie di disinfestazione per bonificare il campo. Nel successivo controllo del 13 giugno, superata l’emergenza da tifo, saranno quantificati in 920 i deceduti, da imputarsi a tale malattia solo nel periodo tra le due date, tra cui almeno 12 tra medici e infermiere arrivati in soccorso.
Più volte, gli storici discussero sul numero di quanti ebrei vennero trovati a Terezìn all’arrivo dell’Armata Rossa. Spesso senza trovare numeri omogenei o similari. In una verifica della Croce Rossa effettuata in data 20 aprile, quindi con Rahm ancora presente e forse sviluppata nel contesto delle trattative in corso tra Ginevra ed Himmler (e pertanto forse ‘gonfiata’) risulterebbero, presenti nel campo, ben 17.973 deportati, di cui 8.899 cecoslovacchi, 1.168 ungheresi, 1.295 olandesi dopo il rilascio di febbraio, 5.300 tedeschi e 1.311 austriaci. Il resto suddivisi in più nazionalità.
Al momento del passaggio di consegne ai Russi, del 8 maggio, dai documenti risulterebbero quasi 30.000 persone, compresi i nuovi arrivati e i prigionieri della Kleine Festung, la Piccola Fortezza, anch’essi tutti liberati. Solo di nuovi ‘arrivi’, sopravvissuti alle marce della morte, dal 20 aprile al 6 maggio si parla di altre 13.000 persone.
8 maggio 2025 - 80 anni dopo -
liberamente tratto dal mio ‘Non ho visto farfalle a Terezin' – ed. AliRibelli - 2021
* Coordinatore Commissione Storia e Memoria dell'Osservatorio
 
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