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L'ultimo testimone di Treblinka
di
Rinaldo Battaglia *
A Montevideo, il 7 maggio 2004, a quasi 90 anni moriva Chil Meyer Rajchman.
So che a nessuno quel nome dirà nulla, eppure, se noi oggi conosciamo bene il lager di sterminio di Treblinka, lo si deve essenzialmente alla sua testimonianza. Sebbene con forte ritardo.
Chil Rajchman era di famiglia polacca, era nato come Yehiel Reichmann nel 1914 a Łódź prima ancora che scoppiasse la Grande Guerra. Famiglia ebrea e molto povera, col padre rimasto vedovo a sfamare ben sei figli.
Poi appena diventato uomo nell'ottobre del 1940, con l’invasione nazista, la sua Łódź fu trasformata in un inferno e tutta la famiglia deportata nel vicino ghetto di Pruszków. Poco dopo, nel febbraio 1941, quando Himmler decise la liquidazione dei ghetti minori venne trasferito nel ghetto di Varsavia.
E l’inferno divenne ancora più inferno.
Era giovane, forte, muscoloso: per i nazisti prima di morire doveva essere utile, come schiavo, per la causa del Terzo Reich. Eccolo così, con la sola sorella Anna, trasferito nelle fabbriche di Ostrów Lubelski, nella Polonia orientale. Ma dopo un anno la capacità produttiva diventava minore e quindi come una macchina usata – consumata ed usata - il 10 ottobre 1942 venne messo su un treno e deportato a Treblinka. Stesso destino alla sorella. Ma all’arrivo Anna sparì e probabilmente venne subito gasata.
Chil invece poteva essere ancora utile e nei lager lo stadio prima della morte per un ebreo era il lavoro nel Sonderkommando. Come successe ad Auschwitz al nostro Shlomo Venezia. Aveva il compito di tagliare i capelli alle donne mandate alle camere a gas, estrarre i denti d'oro dalle vittime gasate del Totenlager e bruciare i loro cadaveri.
Ma era un uomo, sebbene non più giovane, forte e muscoloso. Se fosse dovuto morire avrebbe voluto prima informare, testimoniare, far capire al mondo cos’era il nazismo, il razzismo, le leggi delle razze superiori e inferiori. Concetti che in Europa ed in Italia avevamo perso da anni.
L’occasione capitò il 2 agosto 1943, quando gli ebrei destinati alla morte cercarono una via di salvezza. Venne chiamata dagli storici come “la rivolta di Treblinka”.
Chil fu uno dei pochi che riuscì a fuggire e a sopravvivere. Si nascose nei campi e dopo molti mesi arrivò a Varsavia, aiutato prima da contadini e poi dalla resistenza polacca. Qui si unì alla lotta clandestina dei gruppi socialisti, col nome di battaglia di Henryk Ruminowsky. In particolare, collaborando alla liberazione della capitale, con l’arrivo dei russi, il 17 gennaio 1945. Dieci giorni dopo altri soldati arrivarono ad Auschwitz e aprirono le porte al lager dei lager.
Ma la sua città era Łódź e già il 31 gennaio Chil Rajchman arrivò nei luoghi in cui era nato e da cui 5 anni prima la belva nazista lo aveva preso e deportato peggio di un animale.
Ma Łódź non era più la stessa o forse Chil Rajchman non era più lo stesso di prima. Aveva poco più di 30 anni e un grande vuoto dentro. In Polonia ora comandavano i sovietici, non si sentiva più a casa. Dapprima già nel 1946 si trasferì in Francia e dopo lontano, molto più lontano. Si fermò quasi casualmente a Montevideo, in Uruguay, dove aprì un’azienda tessile con buon successo.
Aveva un vuoto dentro ma anche la memoria di quanto vissuto a Treblinka e la ferrea volontà di riportarlo. Prima di partire verso la Francia, a Łódź si mise in contatto col poeta Nachum Bomze (Bumse) a cui lasciò un manoscritto delle sue memorie in lingua yiddish. Ma quel libro ('The Last Jew of Treblinka: A Memoir') per problemi di diritti di pubblicazione venne edito solo dopo la sua morte.
Prima in francese nel 2009 col titolo di “Je suis le dernier Juif” (“Sono l’ultimo ebreo”) dall’editore parigino Les Arènes. Poi in tedesco, 'Ich bin der letzte Jude. Treblinka 1942/43'.
Eppure, eppure quel testo originale sull’inferno di Treblinka era già conosciuto nel mondo ebraico già da anni. Pur senza essere pubblicato molte pagine erano già documenti importanti presso lo Yad Vashem di Gerusalemme.
Si deve sapere che il 12 marzo 1980, Chil Rajchman venne contattato dall’Office of Special Investigations (OSI) degli USA, affinchè testimoniasse in un processo (avvenuto a Gerusalemme tra il 1987 e 1988) contro un certo John Demjanjuk, accusato di essere stato una guardia ucraina tra le più sadiche e criminali a Treblinka. Guardia peraltro mai identificata e soprannominata come Ivan il Terribile.
Rajchman inizialmente lo identificò ma poi durante il processo ammise di essersi sbagliato: quel John Demjanjuk non era Ivan il Terribile. E di fatto lo salvò da una condanna e morte certa. Poi verrà accertato che quel John Demjanjuk non aveva mai prestato servizio a Treblinka, sebbene su altri lager nazisti.
Chil Rajchman anche in quell’azione si confermò uomo e malgrado le pressioni, anche dell’opinione pubblica, non volle cedere e preferì ritornare sui suoi passi nella testimonianza, magari deludendo qualcuno, per rispetto della legge e del diritto di ogni uomo. Il diritto di essere giudicato per i propri atti e non a priori o per pregiudizio o comodità ideologica. O peggio per vendetta personale.
Tutto quello che Chil Rajchman aveva subito ingiustamente, quando il diritto si era piegato all’ideologia criminale e razzista del nazifascismo.
Era l’ultimo ebreo di Treblinka, ma non l’ultimo uomo.
7 maggio 2025 – 21 anni dopo
* Coordinatore Commissione Storia e Memoria dell'Osservatorio
 
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