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Primo maggio anche per loro
di Roberto Neri
Anche per Albert Parsons, che morì dopo una straziante agonia, impiccato in modo maldestro dal boia, si celebra il 1 Maggio.
Venne giustiziato insieme ad altri quattro, Parsons, condannati senza prove quali responsabili di attentati e disordini che tra l’1 e il 4 maggio 1886 causarono la morte di sei poliziotti di Chicago e di un numero imprecisato, alcune decine almeno, di manifestanti. In quei quattro giorni i lavoratori erano scesi in piazza perché la data del 1 Maggio per loro era importante.
Essi lo volevano festivo in quanto la legge che per prima obbligò i datori ad adottare come massimo le 8 ore giornaliere di lavoro (48 ore settimanali) era entrata in vigore il 1 maggio di quasi vent’anni fa nel loro stato, l’Illinois; una data storica, che ricordava una delle conquiste più importanti del socialismo mondiale.
Dall’Illinois la regola delle 8 ore si estese poi ad altri stati, anche europei, mentre i lavoratori iniziavano a volere ricordare ogni anno quella data. Fino alla strage di Chicago, il 1 Maggio fu celebrato con modalità diverse, come brevi fermate delle attività, piccoli concerti improvvisati e così via.
A partire dall’anno dopo la strage le autorità americane presero a tollerare le manifestazioni del 1 Maggio per evitare altri disastri. Nel 1889 il congresso mondiale dei socialisti battezzò quella data “Festa internazionale dei Lavoratori”, e la sua celebrazione venne accettata un po’ alla volta anche fuori dagli Usa.
Anche molti lavoratori italiani dal 1890 iniziarono a fermarsi per il 1 Maggio, astenendosi da ogni occupazione, sfilando con bandiere e bande musicali, ritrovandosi poi in trattorie e scampagnate.
Anche se la giornata non era festiva, le autorità del regno d’Italia non potevano ragionevolmente opporsi, e si limitarono a controllare. Le forze dell’ordine intervenivano a volte, ma con decisione, causando anche delle vittime, per impedire che le celebrazioni bloccassero servizi come i trasporti, ad esempio.
Durante la Prima guerra mondiale e nel biennio successivo in Italia si celebrò il 1 Maggio senza manifestazioni pubbliche, nonostante si fosse finalmente raggiunto anche qui l’accordo per le 8 ore, ma solo nelle fabbriche. Nella primavera del 1921 ci si organizzò per tornare a festeggiare nuovamente, e in grande stile, l’imminente storica data.
Però qualcosa era cambiato: stava dilagando la violenza politica dei primi fascisti. Nei due anni precedenti lo stesso fascismo era già stato più volte autore di efferatezze ai danni dei lavoratori italiani e dei loro simboli; tra questi, anche le iniziative per il 1 Maggio, ma nel 1921 lo fecero in modo sistematico.
Per prima cosa i fascisti anticiparono i lavoratori, dichiarando festa fascista il 21 aprile, data della fondazione, o Natale, di Roma, e cercando di obbligare quanti più cittadini possibile, col beneplacito delle autorità, a partecipare ai loro raduni. Furono ben 6 le persone assassinate nei tre giorni a cavallo del Natale di Roma del 1921 dagli squadristi “in festa”; tra gli uccisi, Ferruccio Ghinaglia, 21 anni, studente pavese, e la giovane Angela Casagrande di Acqui Terme (Alessandria).
Nei tre giorni del Natale di Roma 1921 le spedizioni “punitive” furono almeno 38, con danni incalcolabili da devastazioni e incendi, e decine di feriti tra cui Antonio Gramsci, all’epoca trentenne, a Torino, e il deputato Fabrizio Maffi, 52 anni, a Pavia, dove era anche docente universitario. Nel Lazio migliaia di contadini furono costretti, in veste di “invitati”, a recarsi il 21 aprile nella capitale inquadrati come soldati ed a sfilare sotto il Campidoglio.
Pochi giorni più tardi i fascisti concretizzarono la minaccia di impedire la celebrazione del 1 Maggio 1921, accanendosi ovunque contro i lavoratori in festa e uccidendo 10 persone; persero 2 camerati nelle 33 incursioni di quel giorno, e durante una di queste a Viareggio (Lucca) sequestrarono Giuseppe Mingrino e Luigi Salvatori, socialisti candidati alle imminenti elezioni politiche, obbligandoli a marciare in prima fila tra le camicie nere.
L’anno dopo, 1922, Mussolini si appropriò ulteriormente del Natale di Roma definendola “giornata del fascismo”; proprio nella capitale avvennero gli incidenti più gravi, con migliaia di squadristi, arrivati da tutto il regno, che sfondarono il nutrito cordone di agenti schierati a difesa del Vittoriano, o Altare della patria, se vogliamo chiamarlo così.
Molto peggio andò dieci giorni più tardi, il 1 Maggio, con le camicie nere furiose perché il governo, per evitare le aggressioni ai lavoratori avvenute nel 1921, aveva finalmente decretato la giornata come festiva, ma raccomandando iniziative solo in luoghi privati e non nelle piazze, e moderazione nel fermare i servizi pubblici.
Stavolta furono ben 23 le vittime della rabbia fascista, mentre si registrarono 5 squadristi caduti negli oltre 120 assalti a lavoratori e loro organizzazioni; il tragico 1 Maggio 1922 fu l’ultimo a venire festeggiato.
L’anno dopo, divenuto presidente del consiglio dopo la marcia su Roma, Mussolini abolì il 1 Maggio e lo sostituì col 21 aprile, Natale di Roma, appesantendo la retorica italica di tale ricorrenza, ed abbinandole una insignificante “festa del lavoro” che nessun lavoratore celebrò mai veramente.
Ma la lunga dittatura non riuscì a cancellare il radicamento popolare dell’autentico 1 Maggio; ogni anno in quella data apparivano bandiere rosse sui campanili, sulle colline, manifesti abusivi, eccetera.
Furono proprio quelle celebrazioni clandestine e le audaci provocazioni (oggi diremmo “flash mob”) durante il regime a preservare la portata libertaria della vera Festa dei Lavoratori, che sarà immediatamente ripristinata nel 1945.
 
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