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Lavoro: come facciamo a non capire?
di
Francesco P. Esposito *
Come facciamo a non capire che più c’è lavoro, meno c’è delinquenza?
Che più una persona viene riconosciuta, ha documenti, più sta in piedi e meno finisce nelle mani delle mafie?
Come facciamo a non capire che in Italia c’è chi vuole solo farsi la giornata, sistemarsi un tetto, pagare due bollette, tenere dritta una famiglia, e gli mandano la polizia sotto casa come se fosse un bandito — solo perché abita nella Caivano di turno, e si porta addosso lo sbaglio degli altri?
Come facciamo a non vedere che questa Italia la tengono in piedi:
- donne che tirano avanti a schiena bassa, tra sfruttamento e mani sul culo in turno;
- settantenni che dovrebbero fare i nonni, e invece ancora si spingono nei turni come quando avevano trent’anni;
- immigrati che, appena arriva un controllo (se arriva), scappano dalle cucine dei nostri ristoranti come scarafaggi agostani quando accendi la luce in cantina.
E quando muoiono, spariscono sul serio.
Tombini. Campi. Cimiteri senza nome. Niente storia. Niente memoria.
E lo so.
Io per primo sono stato bronzato per aver girato lo sguardo.
Io per primo ho girato la testa quando sentivo puzza.
Siamo tutti un po’ bastardi, a modo nostro.
A volte per paura. A volte perché ci fa comodo.
A volte per risparmiare due spicci al banco frutta o sul delivery di notte.
Ma basta. Adesso basta.
Questo articolo non è fatto per piacere.
È fatto per scuotere, come una porta sbattuta nel silenzio.
E se ti gira qualcosa nello stomaco, vuol dire che non sei ancora spento.
E se sei vivo, parla. Denuncia. Resisti.
* Criminologo forense, componente del Comitato tecnico-giuridico dell'Osservatorio
 
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