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I "civili" israeliani
di Rossella Ahmad
Domenica scorsa parlavamo con la coppia palestinese/napoletana fortuitamente incontrata al parco Virgiliano mentre attendevamo che i gazawini, stremati dalla lunga giornata di giochi, decidessero di tornare a casa.
Gli americani, raccontava Paolo, erano irriducibilmente pro-Israele fino a qualche anno fa mentre oggi, dopo il 7 ottobre, questa attitudine è più che dimezzata, soprattutto tra i più giovani. Lo si nota a livello di gente della strada. C'è insofferenza generalizzata, si tratta forse di uno spiraglio di luce che riesce a filtrare attraverso una cortina di tenebre fitte.
The times they are a-changing, cantava un menestrello che ho amato fino a quando non ho letto il testo di Neighborhood bully.
Che i tempi stiano cambiando lo si vede chiaramente dai video che continuano ad imperversare su Instagram. Dovunque il criminale di guerra Ben Gvir vada, nel corso della sua visita negli USA, consistenti gruppi di protestatori lo insultano con ogni sorta di epiteto, e con grande coraggio devo dire.
Non è da tutti farlo avendo di fronte l'immagine plastica di un gruppo visibilmente mafioso persino nell'incedere e dedito al crimine organizzato di ogni genere, da quello finanziario e rapace fino al genocidio di Gaza.
Di norma chi lo faccia subisce lo stesso trattamento riservato l'anno scorso a Medea Benjamin, mite donna di pace e tra le più instancabili accusatrici dello scempio perpetrato in Palestina: bloccata da agenti in tenuta antisommossa, perquisita di fronte alle telecamere persino nelle parti intime e ammanettata per aver denunciato l'illegalità dell'occupazione israeliana.
O allo studente della Columbia University Mahmud Khalil, prelevato dalla sua casa per aver partecipato a manifestazioni contro lo sterminio a Gaza, sequestrato e fatto sparire senza aver commesso alcun crimine.
E sapete chi è il vero responsabile della miseria e dell'oppressione inflitta ai palestinesi, delle persecuzioni e delle molestie imposte nell'intero globo a chiunque manifesti per la giustizia in Palestina?
È la donna bionda in tailleur sartoriale e tacchi a spillo che riprende con un telefonino ipertecnologico i manifestanti anti-Ben Gvir all'interno del palazzo. Indossa con la noncuranza dei ricchi a vagonate una Louis Vuitton semicoperta da un foulard di seta in tinta e arringa sadicamente la piccola folla dei protestatori, ghignando di essere una fiera americana-israeliana, e di aver fatto Aliya.
Così questi misantropi odiatori del genere umano definiscono l'atto di rapina a mano armata compiuto contro i nativi di Palestina. Aliya. Una newyorkese senza un micron di sangue semita nelle vene.
Non riesco a pensare a nulla di più marcio e di più eticamente depravato.
La società israeliana che inneggia all'assassinio dei nativi è composta di queste persone, sappiatelo.
I civili.
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