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Pace in Ucraina: la questione è ANCHE territoriale
di
Francesco Dall'Aglio *
In linea di principio, chi da occidente commenta la questione dei negoziati si concentra principalmente sul dato territoriale. L’idea è che sostanzialmente questa sia, per la Russia, una guerra mirata alla conquista del territorio ucraino, e propedeutica (in caso non venga fermata) alla conquista di terra nel Baltico o in Europa centrale, o magari anche più in là. Qualsiasi altra questione passa in secondo piano o viene derubricata a scusa o propaganda, mentre solo il dato territoriale conta.
E così buona parte del rumore attorno ai negoziati è dedicato alla questione del territorio: quanto territorio ha preso la Russia, quanto avrebbe voluto prendere, quanto si prevede che voglia o possa prenderne ancora, quanto l’Ucraina debba acconsentire a cedere, quanto vergognoso o tristemente realistico sia convincerla, o forzarla, a farlo. E in questa prospettiva, naturalmente, ogni accordo è un cattivo accordo, ‟an ugly deal”, come titola oggi Politico.
Ora, intendiamoci: il dato territoriale è oggettivamente importante per la Russia, per motivi storici, ideologici, etnici e anche biecamente materiali (le regioni che occupa sono tra le più ricche dell’Ucraina, la centrale nucleare di Energodar è la più grande d’Europa, la Crimea è quella che un tempo, e portando parecchio male, si chiamava ‟una portaerei naturale” con la quale si controlla una vasta porzione del Mar Nero, eccetera).
Lo stesso Lavrov ha ribadito ieri, in un intervista al giornale brasiliano ‟O Globo” che non solo la Russia non se ne andrà dalle quattro regioni occupate, più la Crimea, ma che vuole anche che la comunità internazionale le riconosca come parte della Russia (mantenendo sempre la solita ambiguità di cui già abbiamo discusso: solo la parte conquistata o fino al confine amministrativo?), e poi ci sono gli accenni, fatti tante volte da più voci, sempre russe, sulla necessità o almeno sulla desiderabilità di una fascia di sicurezza lungo il confine, eccetera.
Per cui che questa sia una guerra ANCHE territoriale è certamente vero ma concentrarsi solo su questo non solo non aiuta, ma rischia di portarci fuori strada perché, persa ormai questa guerra, per evitare che la Russia in futuro ne faccia un’altra, cosa che naturalmente farà (per conquistare Poltava, magari...) si moltiplicano le ipotesi di ‟garanzie di sicurezza” da fornire all’Ucraina una volta concluso il conflitto, garanzie non solo sulla carta, vista la bella fine che hanno fatto le precedenti, ma sul campo: contingenti inglesi o francesi o di altri paesi ‟volenterosi” da impegnarsi sempre variamente come forza di pace o di garanzia o semplicemente di addestramento, e o l’ingresso dell’Ucraina nella NATO o della NATO in Ucraina (appunto come forza ‟di pace”, ‟di garanzia” eccetera), o anche senza ingresso qualche meccanismo equivalente all’articolo 5.
Questa è la posizione italiana da un po’, ribadita anche nell’intervista di Meloni al Corriere della Sera uscita oggi: ‟la pace dovrà essere giusta e duratura. Il che significa soprattutto solide garanzie di sicurezza. L’Italia ha da tempo fatto la sua proposta: serve una soluzione ispirata all’articolo 5 del Trattato di Washington, anche fuori dal Trattato Nato”.
Quindi, in sintesi, dare un po’ di terra alla Russia, perché alla fine è quello che vuole, e inserire l’Ucraina nell’architettura NATO che è quello che vogliamo noi, e anche quello che vuole l’Ucraina. E poi, naturalmente, si vedrà: muore Putin, la Russia si autodistrugge e tutto torna così come l’abbiamo immaginato, tra dieci o venti o trent’anni. Il problema grosso, però, è che il motivo primario di questa guerra, da parte russa, è proprio quello che a occidente si tende a sottovalutare: non il territorio ma la fine dell’espansione a est della NATO.
In ogni discorso il tema primario è quello, e sia la ‟denazificazione” che la difesa dei connazionali all’estero che il territorio vengono dopo, come ha ribadito Lavrov nell’intervista citata. Continuare a ignorare che il problema è in realtà quello è però l’unica cosa che l’occidente non vuole fare: può perdere Sebastopoli, al limite anche Kharkiv, ma non può perdere anche Odessa. E quindi, con la scusa che poi Putin, presa l’Ucraina, non si fermerà più, piazzarsi in ciò che resterà dell’Ucraina e comunque allargare, de facto o de jure, il confine dell’Alleanza Atlantica.
Ma la Russia altro confine in comune con la NATO non ne vuole perché ne ha già troppo, soprattutto dopo l’ingresso della Finlandia nell’Alleanza - a questo proposito segnalo un pezzo abbastanza surreale del Wall Street Journal uscito due giorni fa (link 4) nel quale ci si duole del fatto che la Russia stia allargando la base militare di Petrozavodsk in Carelia e rinforzando le linee logistiche in direzione della Finlandia, segni inequivocabili, secondo loro, che progetta di invaderla, o magari l’Estonia, chissà.
Strano che quando la Finlandia non faceva parte della NATO la Russia non sentiva l’esigenza di rinforzare il dispositivo militare in quel settore e invece adesso sì, chissà per quali trame oscure... Piaccia o meno, la richiesta primaria della Russia è questa ed è sempre stata questa, prima ancora che si parlasse di territori occupati: Ucraina neutrale e fuori dalla NATO e poi, certo, i territori conquistati (adesso: nel 2021 e 2022 la situazione era tutt’altra, ma quel treno, come si dice, è partito da un pezzo ed è arrivato questo al posto suo, e c’è da farselo piacere). Qualsiasi accordo che non parte da questo dato, e non da quello territoriale, o che ipotizzi uno scambio tra territori alla Russia e presenza militare occidentale in Ucraina, non potrà essere preso in considerazione e quanto prima si capisce questa cosa tanto meglio sarà.
PS: giusto per capire però di cosa realmente parliamo quando parliamo di tutto questo, e di quanto breve e unidirezionale sia la memoria occidentale. L’articolo di Politico che ho citato all'inizio scrive a un certo punto, dolentemente, che quale che sarà l’accordo che l’Ucraina dovrà firmare ‟this will mark the first time in postwar history that European borders will be redrawn by force of arms — a bad precedent in itself”. Io, di questi ‟brutti precedenti” in cui ‟i confini europei sono stati ridisegnati con la forza delle armi” ne ricordo però almeno un paio, e ricordo che a uno di essi abbiamo anche partecipato con un certo entusiasmo. Ma quella, naturalmente, era una guerra giusta e le guerre giuste, si sa, non sono guerre. Non parliamone che è meglio, si rischia di prendere strade disagevoli.
* Componente del Comitato Scientifico dell'Osservatorio
 
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