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Quando Hitler pensò di aver distrutto l'Armata Rossa 2
di Roberto Preve
Prima parte
Stalin il 6 novembre 1941, il giorno prima della commemorazione della Rivoluzione d'Ottobre, tenne il rituale discorso in una stazione della metropolitana di Mosca, per essere al sicuro dagli attacchi aerei tedeschi. Nessuno mise in dubbio la sua determinazione a resistere: se i tedeschi vogliono una guerra di sterminio, disse, avranno quello che vogliono, una guerra di sterminio.
Il giorno dopo Stalin passò in rassegna le truppe che si dirigevano al fronte, dalla tribuna del Cremlino, lo spirito dei generali Kutuzov e Suvorov (due generali zaristi che avevano combattuto Napoleone e i francesi) sarebbe stato di esempio alle truppe. Fu il secondo discorso di Stalin, in una più breve allocuzione alle truppe quel giorno.
Il 13 Novembre il Generale Halder capo di stato maggiore tedesco diede le ultime istruzioni ai suoi marescialli: Bock, Leeb e Rundstedt. L'esercito russo non esisteva più:, attaccare, obbiettivo gli Urali.
I tre Marescialli guardarono come fosse un pazzo il loro comandate. Le truppe erano decimate, le riserve esaurite e i soldati sfiniti. Neanche a parlare di provare un attacco generale ma se si riunivano tutti i carri di fronte a Mosca, una spallata locale poteva anche riuscire.
Halder non aveva il potere di correggere gli ordini che portava, ma lasciò capire che tutti dovevano provare ad avanzare ma che solo il tentativo su Mosca avrebbe avuto l'appoggio richiesto.
La resistenza russa era formidabile e diventava più accanita di giorno in giorno.
Il quattro dicembre un reparto tedesco si spinse fino a Khimki e nella tersa aria invernale, vide lontane le guglie del Cremlino. Il mattino dopo, il 5 dicembre, decine di divisioni sovietiche con alla testa centinaia di carri armati t34, superiori ai tedeschi, passarono all'attacco. I soldati sovietici erano vestiti di bianco con le tute invernali, in numero di quindici su ogni carro armato.
I tedeschi furono travolti e i carri tedeschi rimasero bloccati, essendo la tecnologia di questi orientata sul clima freddo ma non polare. Dopo soli tre giorni, un tracollo senza precedenti minacciava l'esercito tedesco. L'otto dicembre, Hitler emise la direttiva 39 in cui ordinava la fine delle operazioni offensive e una stretta difensiva, attribuendo la necessità a un inverno precoce e rigido, il che non corrispondeva al vero, perché si trattava del solito inverno russo.
Il presunto esercito cadavere russo passava alla controffensiva su tutto il fronte e la medicina per il Fuhrer e per il popolo tedesco era amarissima. Goebbels chiese in una trasmissione radiofonica di emergenza che ogni tedesco mettesse a disposizione i suoi abiti invernali per i soldati, con le donne di Berlino che piangevano vicino alle torri di trasmissione come se un lutto senza precedenti avesse colpito il paese.
Improvvisamente, a mezzanotte di quel fatidico giorno, Hitler ascoltò una trasmissione radio . Quattrocento aerei giapponesi avevano attaccato le Isole Hawaii. Hitler chiese affannosamente conferma e quando fu sicuro, si mise a correre, senza berretto, verso la baracca dei suoi generali.
Entrato, esclamò "ora non possiamo più perdere la guerra, abbiamo un alleato che in 3000 anni non è mai stato sconfitto e un altro che lo è sempre stato ma si è sempre poi trovato dalla parte dei vincitori".
Al netto del giudizio malvagio sull'Italia qui contenuto, la sconfitta di Mosca mostrò i limiti dell'esercito tedesco. Era il migliore al mondo ma i suoi limiti non erano il cielo. Poteva essere sconfitto e disfatto.
Hitler aveva detto solo due settimane prima: "Ich habe alle Moglichkelten calculiert". Ho soppesato ogni evenienza.
 
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