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23 aprile 2025
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La violenza degli argini
di Rinaldo Battaglia *

Il 23 aprile 1944, a Trieste i nazisti, a seguito dell'attentato dinamitardo alla mensa della "Casa del soldato" in cui erano morti 4 militari, impiccarono in ogni angolo e finestra del palazzo Rittmeyer - sito in via Carlo Ghega n. 12 (oggi sede del Conservatorio Giuseppe Tartini) - 51 prigionieri (tra cui sei donne e diversi ragazzi di 16-17 anni) prelevati dalle carceri della città o anche presi dalla strada.

Trieste si trovava a quel tempo occupata dall'esercito tedesco ed assegnata come ‘ Zona d'operazioni del Litorale adriatico (Operationszone Adriatisches Küstenland, abbreviata in OZAK)’ a tutti gli effetti al Terzo Reich. Così aveva deciso Hitler il 23 settembre 1943 e così Mussolini aveva accettato.

Pensate: Trieste, per cui l’Italia del ‘15/’18 si era immolata contro l’Austria, venne svenduta dal Duce in un giorno opaco di settembre di soli 25 anni dopo. Ma diciamolo in giro sottovoce: a Roma molti sono convinti che il Duce sia stato il più grande statista del secolo scorso. La Premier in prima persona. Video docet.

Va detto che in zona, subito dopo l'8 settembre 1943, la guerra tra nazisti tedeschi e i fascisti di Mussolini contro gli slavi si era inasprita giorno dopo giorno, trasformandosi in guerriglia con azioni sempre più violente a cui seguirono continue rappresaglie da entrambi i fronti. Il comando militare tedesco considerava che la zona di Trieste e tutta l'OZAK fosse piena di partigiani (banditen) e continuamente minacciata dalle bande della Resistenza. Forse meno - a dire il vero - a Trieste e nelle grandi città come Gorizia e Udine ma solo perché qui si concentravano in maggior numero i soldati tedeschi.

In questa situazione di guerriglia, i partigiani (slavi da una parte e italiani all’altra) decisero di attaccare i nazifascisti in maniera decisa, quasi irriverente: proprio nei luoghi considerati più sicuri e inaspettati (come luoghi di riposo o di svago), al fine tenerli sempre sotto stress e risvegliare le coscienze della popolazione triestina, talvolta troppo indifferente o succube ai crimini sia nazisti (come alla Risiera di San Sabba) e fascisti, legati alla banda Collotti o al commissario Giuseppe Gueli, pupillo questo del Duce o al commerciante di ebrei, il fascista triestino Mauro Grini.

Solo 2 mesi prima, il 24 febbraio 1944 il generale Ludwig Kübler aveva ripreso le regoli criminali descritte ed emanate nel febbraio 1942 dal nostro generale Roatta (la non-famosa circolare 3C) ed estese non solo alla Slovenia e alla Croazia ma, ora, anche alle terre italiane dell’OZAK (Korpsbefehl Nr. 9):

«C'è solo una cosa: terrore contro terrore, occhio per occhio, dente per dente! Nella lotta è giusto e necessario tutto ciò che conduce al successo. Coprirò personalmente ogni misura che sarà conforme a questo principio.» Ma è guerra e in guerra gli avversari (i partigiani slavi ed italiani) non possono restare inerti.

Il 2 aprile 1944 venne fatta scoppiare una bomba ad orologeria in un cinema di Opicina in cui era in proiezione il film ’La conquista dell'Europa’, in cui morirono 7 soldati tedeschi. Il giorno successivo vennero fucilati per rappresaglia 71 detenuti delle carceri triestine, i cui corpi furono poi utilizzati il 4 aprile per collaudare il nuovo forno crematorio costruito alla Risiera di San Sabba, che da allora e fino alla data della liberazione venne adoperato per bruciare i cadaveri di oltre 3.500 prigionieri.

Il palazzo Rittmeyer, situato in via Carlo Ghega nel centro di Trieste a pochi passi dalla stazione centrale, era stato occupato dai tedeschi e trasformato in un circolo militare denominato "Casa del Soldato tedesco" (Deutsches Soldatenheim), con annessa mensa per i soldati.

Sabato 22 aprile 1944, Mirdaməd Seyidov (conosciuto col nome di battaglia di "Ivan Ruskj") e Mehdi Hüseynzadə ("Mihajlo"), soldati sovietici di origine azera ed ex prigionieri arruolati nella Wehrmacht da cui erano fuggiti per passare nel IX Korpus dell'Esercito Popolare di Liberazione della Jugoslavia di Tito, vennero incaricati di collocare una mina esplosiva da 5 kg nella caserma dei fascisti sloveni del Belogardisto (Domobranci).

All'ultimo momento, non furono in grado di portare a termine la missione, cosicché i due sovietici, vestiti con le divise tedesche, decisero allora di entrare a palazzo Rettmeyer: si diressero verso la mensa degli ufficiali, da cui però vennero allontanati (in quanto Ivan Ruski indossava una divisa da sottoufficiale) non prima di aver lasciato sotto ad un tavolo una valigetta contenente una bomba ad orologeria, che scoppiò alle 13:25.

L'onda d'urto fu così forte che la facciata del palazzo venne squarciata e varie stanze interne vennero danneggiate; vennero investite 27 persone (21 militari tedeschi, 1 donna tedesca e 5 civili, di 2 uomini e 3 donne), con l'uccisione di 4 soldati e una donna triestina di nome Gina Valente (morta in ospedale il 25 aprile a seguito delle ferite). A seguito dell'attentato, vi furono contrasti all'interno del CLN italiano, in particolare tra i partigiani comunisti (i 'rossi) e quelli dei partiti moderati (i 'bianchi').

Durante un incontro organizzato la sera stessa, il comunista Luigi Frausin «si era felicitato dicendo che così veniva scosso il torpore dei triestini», ritenendo che «se era stato alzato il tiro dell'atto terroristico, questo doveva trovare un adeguato allineamento da parte italiana», mentre il democristiano don Edoardo Marzari manifestò la preoccupazione che l'inasprimento della lotta avrebbe potuto condurre ad una "spirale di morte contro la popolazione, ostaggio delle continue rappresaglie tedesche".

Il comando tedesco iniziò ad indagare subito sull'attentato di via Ghega, con grande riservatezza ed escludendo in quel momento le autorità italiane, forse non fidandosi. Già da subito si manifestò però l'impossibilità di individuare i colpevoli in tempi brevi: 'per questo, il comando tedesco decise di rispondere all'attentato in maniera istantanea e feroce, per non lasciarlo impunito e ristabilire l'ordine nella popolazione triestina tramite una rapida azione caratterizzata da violenza e terrore, che fosse di lezione sia per i civili sia per i partigiani'. Come scrisse più di qualche storico.

La sera stessa dell'attentato, venne compilato in fretta un elenco di 51 prigionieri politici italiani, sloveni e croati già detenuti nel carcere del Coroneo o arrestati per strada perché trovati sprovvisti di documenti, che vennero giudicati complici dell'attentato alla mensa e condannati a morte immediata dalla corte marziale.

Ovviamente senza prove, in particolare per chi era da settimane già in carcere. Ma servivano?

La mattina seguente i prigionieri vennero prelevati, caricati su camion militari e condotti al luogo dell'attentato. Trascinati a gruppi di cinque persone per volta, vennero impiccati alla balaustra di marmo dello scalone interno del palazzo e gettati nel vuoto. Quando le arcate dello scalone furono tutte piene di corpi penzolanti, i nazisti iniziarono ad impiccare le vittime in ogni angolo del palazzo: alle finestre della facciata, ai lampadari delle stanze e dei corridoi, finanche ai mobili.

I cadaveri degli impiccati vennero lasciati appesi per cinque giorni, sorvegliati giorno e notte dai vigili della Guardia civica, al fine di incutere il terrore nella popolazione civile di Trieste. Davanti al palazzo transitava infatti l'affollato tram n. 6 che collegava la stazione ferroviaria alla riviera di Barcola: passando davanti al palazzo, il tranviere aveva l'ordine di rallentare per far osservare meglio la scena.

La propaganda pretendeva la sua parte. Dopo 5 giorni, fu inviato al palazzo un gruppo di S.S., che con le baionette tagliarono i cappi degli impiccati, facendo cadere al pianterreno i corpi. Le vittime furono poi seppellite in una fossa comune al cimitero di Sant'Anna.

Il 24 aprile il Piccolo di Trieste uscirà con questa notizia: «Ieri, sabato, elementi comunisti hanno compiuto un attentato dinamitardo alla Deutsches Soldatenheim a Trieste che è costato la vita ad alcuni soldati tedeschi e ad alcuni civili italiani. Sono state arrestate in gran numero persone della cerchia più vicina agli attentatori. La Corte marziale ne ha condannate a morte cinquantuno. La sentenza è stata eseguita immediatamente.»

Un’operazione similare alle Fosse Ardeatine del mese prima.

Il 1° maggio 1945, un anno dopo, a Trieste arriveranno in partigiani slavi di Tito, ma i nazisti si ritireranno subito scappando verso la Germania. A Trieste resteranno gli italiani e saranno preda della vendetta slava.

Basovizza e Monrupino saranno le prime foibe qui usate. Le foibe furono un crimine ingiustificato ed ingiustificabile. Ma sarebbe storicamente scorretto e intellettualmente disonesto non considerare il contesto precedente. Quello che solitamente la nostra politica non fa il Giorno del Ricordo.

Elettoralmente giova? Conviene sempre avere un nemico da maledire e su cui scaricare i propri limiti culturali e morali. Bertolt Brecht a suo tempo era stato un maestro nel dire che: ‘Tutti a dire della rabbia del fiume in piena e nessuno della violenza degli argini che lo costringono'. La 'violenza degli argini' criminalmente manifestata anche in quel 23 aprile del 1944.

23 aprile 2025 – 81 anni dopo - 2 giorni alla Festa della Liberazione dal nazifascismo (così mi hanno detto a scuola, ma io non ci ho mai creduto) - Liberamente tratto dal mio ‘Il tempo che torna indietro – Prima Parte” - Amazon – 2024

* Coordinatore Commissione Storia e Memoria dell'Osservatorio


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