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20 aprile 2025
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Israele: esercito in profonda crisi
di Leandro Leggeri

Secondo Salah Al-Awawda, esperto di affari israeliani, l’esercito israeliano sta attraversando una delle sue crisi più profonde, che potrebbe compromettere seriamente l’intera campagna militare nella Striscia di Gaza.

Salah Al-Awawda è uno studioso e analista specializzato in affari israeliani e questioni militari, noto per le sue frequenti analisi nei media arabi. Con un’approfondita conoscenza della politica israeliana e delle dinamiche interne all’esercito, Al-Awawda fornisce chiavi di lettura cruciali sulle trasformazioni e le fratture che oggi agitano l’apparato militare dello Stato ebraico.

Secondo Al-Awawda, l’esercito israeliano si trova oggi di fronte a una vera e propria “dilemma strutturale”, come ammesso anche dal Capo di Stato Maggiore, che sta cercando di affrontare la situazione con ogni mezzo possibile. Tuttavia, questo stallo solleva serie domande sul futuro delle operazioni nella Striscia di Gaza.

Le proteste all’interno delle forze armate sono cominciate già prima dell’inizio della guerra, quando numerosi piloti e ufficiali dell’aeronautica avevano manifestato la loro opposizione a quella che l’opposizione definisce una deriva autoritaria del sistema giudiziario israeliano. Con l’intensificarsi del conflitto, le proteste si sono estese ad altri corpi militari, inclusi i paracadutisti, l’intelligence (in particolare l’Unità 8200), le forze corazzate e altri reparti: in ciascuno di questi, centinaia di riservisti hanno espresso la loro disobbedienza o riluttanza a proseguire il servizio.

Il dato più preoccupante, secondo Al-Awawda, riguarda il drastico calo nella partecipazione dei riservisti: solo il 60-70% degli effettivi previsti si presenta al servizio. Molti di questi soldati ritengono ormai che la guerra abbia perso ogni giustificazione, e chiedono di mettere fine al conflitto e di riportare a casa gli ostaggi, ascoltando le richieste delle loro famiglie.

Il Capo di Stato Maggiore ha recentemente avvertito il governo israeliano e il Primo Ministro Benjamin Netanyahu che sarà necessario ridurre le ambizioni belliche nella Striscia di Gaza, alla luce del crollo della disponibilità tra i riservisti. La situazione compromette seriamente la capacità operativa dell’esercito e influenza direttamente le scelte politiche del governo.

Al-Awawda sottolinea che non si può obbligare un esercito a combattere con soldati che non credono più nella legittimità della guerra. Alcuni di questi militari esercitano pressioni dirette sui loro comandanti affinché pongano fine al conflitto, anche se ciò dovesse significare il ritiro e il fallimento dell’offensiva.

La crisi, secondo l’analista, si complica ulteriormente con il rischio di apertura di nuovi fronti: il conflitto in Yemen continua, si teme un’escalation in Siria, e cresce la possibilità di un’operazione militare su vasta scala contro l’Iran.

Nonostante Netanyahu e il comando dell’esercito abbiano deciso di punire solo i riservisti disertori effettivamente in servizio, la rottura di fiducia tra i soldati e la leadership – sia politica che militare – è ormai evidente. Ciò incide pesantemente sul morale e sulla prontezza dei militari, mettendo in discussione la sostenibilità a lungo termine dell’operazione a Gaza.

Per questo, Al-Awawda conclude che la leadership israeliana dovrà necessariamente prendere in considerazione un’alternativa politica alla guerra, per evitare di trascinare il paese e il suo esercito in un pantano senza via d’uscita sotto forma di amministrazione militare permanente nella Striscia di Gaza.

Il momento attuale rappresenta dunque un bivio cruciale per Israele: proseguire sulla via di una guerra senza prospettiva chiara, con un esercito stremato e diviso, oppure avviare una riflessione profonda su un’alternativa politica che riconosca anche le istanze crescenti all’interno della società israeliana stessa.

Salah Al-Awawda avverte: solo una revisione coraggiosa delle priorità politiche e strategiche potrà restituire credibilità alle istituzioni israeliane e permettere un’uscita dignitosa dal pantano di Gaza. In caso contrario, lo Stato rischia di affrontare una delle più gravi crisi identitarie e militari della sua storia recente.

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