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Quando ti parleranno del 25 aprile
di
Rinaldo Battaglia *
Quando fra 5 giorni qualche giornalista verrà a parlarti del 25 Aprile e della ‘retorica’ della Liberazione – offendendo e sminuendo il valore dei partigiani e di chi ha lottato contro il fascismo del Duce - o qualche premier farà voli pindarici per omettere di usare la parola innominabile (per lei) di Mussolini e quindi non dire grazie alla Resistenza che ci ha permesso di liberarci di quel regime illiberale e liberticida oltreché razzista e antisemita (bene rappresentato dal megafono del Duce, Giorgio Almirante quello fotografato assieme negli slogan di ‘Da Giorgio a Giorgia’ del settembre 2022) oppure qualche Presidente del Senato confonderà musicisti con nazisti e dimenticherà sbadatamente che la Costituzione su cui ha giurato fedeltà è antifascista, rispondi ‘a quella gente consumata nel farsi dar retta’ con alcune parole di cui probabilmente loro non hanno mai sentito il suono.
Oggi è il 20 aprile ed è stato, per la Storia, il giorno ‘Herring’ e siccome oggi il problema di cui ci sarebbe da vergognarsi – come direbbe l’ avvocato D'Agata "lo zio" in Johnny Stecchino o, non ricordo bene, Fabio Rampelli di FdI – è l’abbondanza della lingua inglese nel nostro comune parlare, uso la definizione nella lingua di Dante: 'il giorno dell’aringa'.
Non so quanti in Italia oggi conoscono la storia di quel giorno che ha condizionato le terre dell’Emilia e del basso Veneto, le terre proprio dove nei secoli scorsi l’aringa salata, in quanto pesce povero e di poco costo, ha salvato dalla fame migliaia di vite. Sebbene fosse pesce forestiero, non patriottico.
Pochissimi conoscono quel giorno e forse ci sarebbe da chiedersi perché? Perché non hanno realizzato film, documentari, servizi Mediaset, articoli su Libero, dialoghi di giornalisti retequattristi?
Ti racconto la vicenda e lo capirai. Dopo ogni domanda troverà la giusta risposta e la giusta collocazione in questo nostro paese che mai ha fatto giustizia col proprio passato e dove quando non puoi trovare difese ai tuoi interessi di parte, fai di tutto per cancellare o negare nell’esistenza quei fatti verificati, per te così controcorrente e controproducenti alla tua narrazione storica. Magari buttandola in una irrispettosa battuta, come quella sulla musica offensiva di Via Rasella dell'aprile 2023.
Noi tutti conosciamo l’operazione ‘Overland’ quando gli Alleati per mesi lavorarono per lo sbarco in Normandia e, alla fine, malgrado migliaia di morti, vinsero le resistenze naziste spalancando la strada verso Berlino. Decisivo in quel caso furono i soldati dell’aviotrasportata – come la ‘band of brothers’ della 101ª Easy Company – che vennero lanciati al di là delle linee nemiche, nella penisola di Cotentin, per creare panico e confusione nelle retrovie e rallentare così l’azione principale sulla costa.
L’operazione ‘Herring’ invece fu un'azione di infiltrazione e sabotaggio effettuata dalla notte del 20 aprile 1945 dalle forze alleate e soprattutto, soprattutto – ecco un elemento da non dimenticare nella nostra analisi - da soldati regolari ‘cobelligeranti’ del Regno di Italia (regno del Sud) avvenuta a sud del fiume Po, allora ancora nel territorio fascista della RSI di Salò.
Ancora da inizio anno e ancora prima dello sfondamento della linea gotica (marzo 1945) il comando anglo-statunitense pensò di ostacolare il ritiro dell'esercito tedesco prima che questo attraversasse il fiume Po, al di là del quale avrebbe potuto assestarsi e formare eventualmente nuova linea di difesa (una ‘gotica 3’ in altre parole). Bisognava quindi da una parte provocare tensioni, confusioni e panico per almeno 36 ore nelle retrovie tedesche e dall’altra parte conquistare e mettere in sicurezza i ponti e le strade principali, prima che i nazisti facessero danni alle strutture con lo scopo di rallentare l'avanzata alleata. Come avevano fatto nelle settimane precedenti sul Reno in difesa di Berlino.
Il comando alleato decise di utilizzare essenzialmente soldati italiani, bene selezionati ed addestrati. I migliori, come in Normandia, come per la Easy Company. In misura ovviamente tutto più ridotta.
Vennero scelti per quest’operazione ad altissimo rischio, quasi ‘suicida’, 226 paracadutisti italiani, già dipendenti del XIII corpo d'armata britannico, di cui 109 facenti parte delle truppe di fanteria del reggimento "Nembo" (Gruppo di Combattimento Folgore) e 117 dello "Squadrone F" (Folgore). Erano gli eredi naturali delle divisioni paracadutisti Folgore e Nembo. Ai loro comandi ovviamente due italiani.
Sebbene dal cognome un po’ ‘forestiero’ non del tutto ‘purosangue italiano’ almeno negli antenati di secoli prima: il cap. Carlo Francesco Gay e il cap. Guerrino Ceiner.
Erano soldati italiani regolari dell’esercito che, il 12 ottobre 1943, aveva dichiarato guerra al Terzo Reich e conseguentemente alla RSI di Mussolini che operava al fianco e per conto dei Hitler. Quella per cui combattevano anche i vari Almirante, Rodolfo Graziani, Luigi Ferraro e molti altri a cui da anni in Italia dedichiamo vie o piazze (anche il nonno del direttore Alessandro Sallusti visto che è ritornato di moda per sua scelta).
Combattevano e rastrellavano convintamente ebrei, anche bambini in fasce, spediti come nemici ad Auschwitz.
La preparazione all’operazione fu lunga: prima del lancio, tutti i paracadutisti italiani selezionati (che non effettuavano più lanci dall'8 settembre 1943) parteciparono ad un attento addestramento tenuto in Puglia, a Gioia del Colle, al fine di prendere confidenza con i paracaduti inglesi e ad un corso per sabotatori organizzato dall'Italiana Special Air Service (ISAS) di scuola inglese.
I paracadutisti vennero organizzati in 26 pattuglie di 6-8 uomini (eccezionalmente 12-16), a cui fu assegnato una zona di lancio ciascuna, situata all'interno di un triangolo avente per vertici Ferrara, Mirandola e Ostiglia, con baricentro a Poggio Rusco. Alla centuria Nembo venne assegnata la porzione nord (tra Poggio Rusco ed Ostiglia-Revere), mentre allo Squadrone F l'area inclusa fra Mirandola, Medolla, San Felice sul Panaro e Finale Emilia.
Ogni pattuglia venne adeguatamente dotata di munizioni, armi, viveri, morfina, sufficienti per almeno 2 giorni. Oltre a precise mappe del territorio.
Il comando alleato, nella figura del magg. inglese Alan Ramsay il 19 aprile 1945 tenne a rapporto i due comandanti italiani della missione. Ora dipendeva dagli italiani lottare per la libertà del loro paese contro i nazisti e gli altri italiani, quelli di Mussolini.
Alle 18,00 precise del 20 aprile 1945 i paracadutisti italiani salirono a Castiglioncello sugli autocarri diretti all'aeroporto di Rosignano (Livorno), dove furono imbarcati su 14 aerei Douglas C-47 Dakota/Skytrain statunitensi dello U.S. 64th Troop Carrier Group.
I tedeschi però non potevano restare a guardare: era in gioco il destino della campagna d’Italia e se gli Alleati passavano il Po avevano la strada aperta fino a Milano. La contraerea tedesca ostacolò quindi fortemente gli aerei, i cui piloti (statunitensi) non erano per nulla esperti in lanci notturni e tanto meno della zona. Furono pertanto costretti a modificare il piano di volo e a volare più velocemente. Alcuni lanci dei nostri paracadutisti, effettuati a 300-1.000 metri di altitudine, furono effettuati parzialmente in maniera errata. I nostri soldati vennero sparpagliati in gruppi piccoli anche di soli 2-4 uomini e a una distanza fino a 40 km dal punto previsto di atterraggio. Anche per la Easy Company in Normandia fu così, ma allora gli aerei erano ben più numerosi.
Le zone di lancio divennero pertanto più estese ed ampie, dal bolognese (San Pietro in Casale, Galliera, Pieve di Cento) al ferrarese (Bondeno, Sant'Agostino, Cento, Mirabello, Poggio Renatico, Vigarano Mainarda), alla pianura mantovana (Villa Poma, Sermide, Santa Croce, Magnacavallo, Schivenoglia) e al modenese (Mirandola, San Damaso, Cavezzo, San Prospero).
Doveva partecipare anche un gruppo di inglesi ma l'aereo su cui volava il maggiore Alan Ramsay, che avrebbe dovuto lanciare due pattuglie sulla base aerea di Poggio Renatico, non riuscì ad individuare la zona di lancio a causa della fitta contraerea nemica e dovette rientrare. La scelta non sarà apprezzata dai nostri paracadutisti che si sentirono un po’ abbandonati al proprio destino. Il cap. Carlo Francesco Gay e il cap. Guerrino Ceiner se ne lamentarono immediatamente.
Ma i parà italiani proseguirono ugualmente nella loro missione per quanto ‘suicida’ e partita male. E, nelle notti tra il 20 al 23 aprile 1945, vennero effettuate alcune azioni di guerriglia e sabotaggio alle spalle dell'esercito tedesco fortificato nella Linea Gotica 2, come previsto e pianificato.
Presto il tutto divenne una vera e propria battaglia, durissima e all’ultimo sangue. Ma il risultato fu determinante, degno della Easy in Normandia: si arrivò alla conquista di 3 ponti, alla distruzione di una polveriera, 44 automezzi blindati, corazzati o protetti, al taglio di 77 linee telefoniche, con in aggiunta (assieme ai partigiani locali, informati dell’operazione) l'uccisione di 481 tedeschi e ad un non bene precisato numero di fascisti di Salò, oltre alla cattura di almeno 2083 prigionieri (tra tedeschi e un centinaio di repubblichini delle brigate nere).
Le perdite dei parà italiani (esclusi i partigiani) furono di 30 morti e 12 feriti (oltre alla morte di un pilota alleato) pari a circa 20% delle forze impiegate.
Va detto che in questo momento storico, oramai gli ordini (dei nazisti, ma anche degli alleati) dettati dai rispettivi comandi era quello di ‘non fare prigionieri’ o, meglio, alla prima mossa sbagliata di qualcuno uccidere chi si era arreso. In barba a tutte le convenzioni di Ginevra e dell’Aja. Hitler e Mussolini furono dei criminali pionieri in questo, ma anche dalla parte americana non si restò a guardare. Il gen. Patton, già il 14 luglio 1943, lo aveva insegnato ai suoi soldati in Sicilia, nelle campagne di Piano Stella a Biscari, con almeno 76 prigionieri italiani e tedeschi uccisi dopo che si erano arresi a tutti gli effetti, dopo l’invasione alleata del 10 luglio.
Le truppe italiane ora residue (196 uomini più i feriti) resistettero finchè furono raggiunte da reparti alleati e da ulteriori formazioni partigiane, favorendo il forzamento del Po. Ma – va ribadito - a parte il supporto iniziale di poche decine di partigiani, avevano combattuto da soli fino alla tarda serata del 21 aprile o all’alba del 22, in condizioni di nettissima inferiorità numerica rispetto ai tedeschi e ai repubblichini di Salò. Col massimo coraggio, onore e capacità operativa. Un po’ come gli eroi della Easy dell'allora tenente Winters nell'assalto al maniero di Brécourt.
In particolare, vanno ricordati alcuni nomi, così se - dalle tue parti - hai voglia di sostituire qualche nome al posto di Via Almirante o Via Bottai o del porticciolo di Nervi e dell’ex-idroscalo di Orbetello, presento qui delle meritevoli alternative.
Tra questi di certo il sottotenente bresciano Franco Bagna, classe 1921. Assieme ad altri 13 atterrò in zona Dragoncello, tra le campagne mantovane di Poggio Rusco e di Magnacavallo (chiamate, dopo non a caso, ‘Dosso dell'Inferno’). Qui i tedeschi avevano creato un ospedale militare. Catturarono subito due nazisti grazie al fattore sorpresa, ma presto arrivarono una ventina di altre S.S, sicuramente accortesi del loro arrivo. Cercarono così un rifugio verso il piccolo centro abitato di Dragoncello, ma poco dopo preferirono dirigersi – anche per evitare scontri coinvolgendo la popolazione del centro - verso una casa, un po’ isolata, abitata da due civili che cercarono di nasconderli. Ma i tedeschi, che li avevano inseguiti, il giorno 23 arrivarono in quella casa.
Fu una sparatoria senza esclusione di colpi. Moriranno tutti i 14 parà, i due civili e 16 soldati nazisti.
L'edificio venne data alle fiamme e quel posto ancora oggi si chiama "Ca' brusada" ("casa bruciata").
Tra i 14 soldati italiani vi era anche Franco Bagna, il cui coraggio gli valse dopo la morte una medaglia d'oro al valor militare.
Oggi la strada che conduce a quella casa porta il suo nome di Franco Bagna, mentre a 1 km, nel punto dove i 14 paracadutisti toccarono terra, si trova il monumento nazionale dedicato all'operazione ‘Herring’ o ‘Aringa’ per i nostalgici della nostra lingua.
L'azione di ‘Ca' brusada’ fu una tragedia nell’operazione (con 14 dei 31 morti della missione quasi ‘suicida’) ma permise di attirare a sé inevitabilmente le forze nazifasciste e di conseguenza quelle alleate che le inseguivano a loro volta. Facilitando così l’arrivo delle truppe americane che sempre nello stesso giorno, il 23 aprile del 1945, entrarono a Poggio Rusco e liberarono il paese.
L'operazione Herring (Aringa) è ricordata nel libro della Storia come l'unico aviolancio di guerra effettuato in Italia da paracadutisti italiani durante la Seconda Guerra Mondiale. E lo fecero contro nazisti e altri italiani (quelli della parte sbagliata) per la liberazione del nostro Paese. In modo eroico, sapendo i rischi che correvano ma anche l’importanza della missione nella liberazione dell’Italia del Nord.
Ora dimmi se quell’operazione non meriterebbe maggior conoscenza, almeno qualche film, qualche sceneggiato. E invece resta un qualcosa di indefinito ‘tra il nulla ed il niente’ perché, se tu informi per bene il valore dei ‘soldati regolari’ italiani contro i ‘soldati italiani’ del Duce non puoi negare che quella era ‘guerra di liberazione’. C'era chi combatteva dalla 'parte giusta' e chi dalla 'parte sbagliata'.
Cadrebbe la tesi, l’impianto, in altre parole che è stato artificiosamente e mediaticamente creato della guerra civile. Perchè da anni si cerca di far passare la ‘guerra di Liberazione’ come un’azione di banditi (partigiani), male organizzati, scappati di casa, dove ogni eroismo viene quasi preso per il sedere. Parificando la loro lotta a quella dei nazisti.
Solo quattro anni fa (2021) dalle mie parti, un importante allora assessore regionale (ora eurodeputata) – quella che cantava contenta alla radio ‘Faccetta nera, ti daremo un altro duce, un altro re’ – il 25 Aprile si è recata sul Monte Corno, sull'Altipiano di Asiago, alla foiba Buso de La Spaluga, dove al termine della guerra furono gettati 14 soldati nazisti. Ha poi così spiegato le sue ragioni: "Ho voluto celebrare tutti (e sottolineo tutti) i connazionali che hanno combattuto durante la guerra civile ’43-’45 nell'ottica di una Pacificazione Nazionale".
E nessun giornalista o portamicrofoni che le chiedesse ‘cosa c’entrassero i tedeschi se era una guerra civile?’.
Quando in anticipo sul tuo stupore, verranno a parlarti del 25 Aprile – mi permetto di rubare alcune parole di pura poesia a Fabrizio De Andrè - a quella gente consumata nel farsi dar retta, rispondi in fretta che la Liberazione è stata dal nazismo tedesco e dal fascismo di casa nostra.
Non accettare la falsità storica che ha indotto qualcuno a scrivere, il 25 Aprile 2021 da Venezia, che ‘la guerra e la Resistenza è stata fatta contro un nemico e un esercito invasore (parole testuali)’ oppure quando nella mia Vicenza, nel 2019, chiamarono il 25 aprile “la Festa della Libertà, non solo della Liberazione” (“in nome dell’universalità di un valore che prescinde da ogni rivendicazione politica e contrapposizione ideologica”). Vicenza - onorata da due medaglie d’oro - quella che ‘nel periodo della lotta di liberazione occupata dalle truppe tedesche, costituì subito, fra le sue mura, il primo comitato di resistenza della regione veneta, che irradiò poi, in tutta la provincia ed oltre, quella trama di intese e di cospirazioni che furono le necessarie premesse di successive e brillanti operazioni militari’ (parole testuali della motivazione alle medaglie). Vicenza quella che fino al 2021 pagava il 28 aprile, sul giornale di città, necrologi a S.E. Cav. Benito Mussolini scrivendo ‘sempre in noi presente’.
Quella non è verità storica - documentata, certificata da anni di studi di affermati professionisti e professori del campo - quella è politica di bassa, bassissima lega.
A meno che non viviamo nel 1984 di Orwell, quando diceva che ‘ogni libro sarà riscritto, ogni immagine ridisegnata, ogni statua e ogni edificio rinominati, ogni data modificata. La Storia sarà piegata e distorta per adattarsi al presente, cancellando ogni traccia del passato che non corrisponde al dogma del presente’.
Quando verranno a dirti che il 25 Aprile non è stata la vittoria della guerra di Liberazione dal nazifascismo e la sconfitta del fascismo di Mussolini, capo di un regime criminale, reagisci con dati e informazioni storiche.
Perché come scriveva Miguel de Unamunu: ‘Il fascismo si cura leggendo’. Per questo vogliono modificare la cultura e distrarre le masse su problemi anacronistici, come l’uso delle parole inglesi nella lingua italiana. Come se la lingua fosse un qualcosa di stabile, fissato per l’eternità dall’alto e non invece un continuo muoversi e incrociarsi di incontri, sensazioni, conoscenze tra persone diverse.
Il fascismo lo si vince studiandolo e come la droga ‘se lo conosci lo eviti’.
Quando verranno a parlarti del 25 Aprile sii pronto. E in anticipo sarai tu che sorprenderai ‘quella gente consumata nel farsi dar retta’. Ci vuole davvero molto poco.
20 aprile 2025 – 80 anni dopo - 5 giorni alla Festa della Liberazione dal nazifascismo (così mi hanno detto a scuola, ma io non ci ho mai creduto) -
Liberamente tratto dal mio ‘Il tempo che torna indietro – Prima Parte” - Amazon – 2024
* Coordinatore Commissione Storia e Memoria dell'Osservatorio
 
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