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14 aprile 2025
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La prospettiva palestinese
di Rossella Ahmad

Ho udito questa sera una frase bellissima, estremamente significativa per me come credo possa essere per tutti coloro che amino la Palestina e siano frustrati dalla sua definizione assolutamente fuorviante attraverso l'uso di termini negativi nella loro accezione semantica - questione, problema, mancata risoluzione.

La questione palestinese non è una questione, ma è una prospettiva, invece.

Ci ho riflettuto a lungo. Ribaltiamo i termini. Forse è la versione giusta della storia, quella che vede i palestinesi non come mere vittime - intendiamoci: da un punto di vista immediato lo sono, eccome. Loro sono i corpi devastati e fatti a pezzi, loro le città rase al suolo nella migliore tradizione barbarica altomedievale - di un processo storico violentemente e prepotentemente interrotto, ma come protagonisti del loro destino, capaci di determinarlo in maniera assolutamente personale e originale.

Una prospettiva: a lungo termine. Di liberazione, nazionale, collettiva e individuale. Che non ha fretta di realizzarsi, perché vede la sua vittoria, appunto, in prospettiva.

Che ragiona in termini storici, concreti, laddove concretezza significa etimologicamente "che cresce insieme" e che, dunque, si dà tempo. Il tempo dei processi storici, che non sono mai brevi.

Nell'immediatezza dell'oggi, di questo tempo infame, è chiaro che i palestinesi possano sembrare "perdenti": hanno di fronte un nemico morto, moralmente morto, politicamente morto, che è sicuramente irrazionale e certamente confuso, che ricorre ai crimini eticamente più abietti pur di avere ragione di una resistenza che si impone da quasi cento anni con la straordinaria forza dell'imperativo categorico.

Certamente, come rilevò Giorgio Agamben in uno dei suoi più significativi scritti, è più difficile contrastare un nemico spiritualmente morto, poiché con esso non puoi utilizzare il dialogo, il logos, l'argomentazione, le ragioni.

Tuttavia è un errore pensare all'epopea palestinese in questi termini.

Questi sono i termini dell'estemporaneo, del contingente, mentre noi vogliamo guardare le cose in prospettiva.

E dunque, se guardiamo agli avvenimenti con più lucidità ed acutezza non possiamo non comprendere che questo nemico rappresenti una inciviltà al suo termine, che sta esaurendo la sua letale spinta propulsiva e lo sta facendo ricorrendo a mezzi estremi, ma strategicamente inutili, per rallentare il suo crollo verticale.

I palestinesi, come ogni entità e pensiero ben radicati, non temono il passare del tempo. Anzi.

E, cosa più importante, la resistenza palestinese offre prospettive anche a noi popoli dell'ex primo mondo dei diritti - un bluff, come abbiamo visto, già sgamato più e più volte.

Bisogna cogliere i segnali storici, e diventarne interpreti ed artefici. O soccombere ad essi.

Le vicende storiche si giudicano sempre in prospettiva, mai mentre accadono.

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