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03 aprile 2025
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Solidarietà è rivoluzione
di Rinaldo Battaglia *

Cercare di soddisfare questa mia passione, molto anomala, di ‘coscienza critica del mio tempo’ troppo spesso mi ha fatto incontrare momenti di vera tristezza e delusione di esser uomo. Anche in questi miei articoli, spesso, sono sentimenti che difficilmente riesco a nascondere. Vorrei però ora lasciarVi una storia a lieto fine, una pagina chiara nel mare delle numerosissime pagine nere del Libro della Storia.

Parla di Mira Ledowska (Maria in polacco), una bambina che portava il nome di mia madre. Era della terra di Papa Giovanni II, un Papa con idee molto chiare sulla pace e sul concetto di libertà. Come non ricordare i suoi ‘must’: “La pace richiede quattro condizioni essenziali: verità, giustizia, amore e libertà.” Oppure: “La libertà non consiste nel fare ciò che ci piace, ma nell'avere il diritto di fare ciò che dobbiamo.”

Maria con l’arrivo dei nazisti nell’estate ’41 fu inviata con tutta la famiglia, in quanto ebrea, nel ghetto di Tłumacz. I pochi che sopravvissero alle terribili condizioni, imposte dagli invasori, vennero spediti presto nel campo di sterminio di Bełżec. Ma Maria, sua madre (Adela Krum) e suo padre - pochi giorni prima - miracolosamente riuscirono a fuggire dal ghetto, sebbene nella fuga poco dopo il padre venne catturato e subito ucciso. Maria rimase così sola con la giovane madre, disperata più che mai, senza sapere dove andare e cosa fare per salvarsi. Disperazione totale. Ma trovarono aiuto e riparo da alcune famiglie cattoliche polacche che, pur sapendone il rischio, cercavano ugualmente di sostenere altri più disperati e morti di fame di loro.

Alla madre fu creata una nuova identità e così anche per la piccola Maria. Da quel giorno la madre diventava Adela Kowalik moglie di un ufficiale dell'esercito polacco, prigioniero chissà dove e chissà se ancora vivo. E la figlia Marysia Kowalik. La mamma - aiutata da quelle famiglie – insegnò alla piccola anche le preghiere e i principali riti della Chiesa Cattolica: tutto doveva rendere più credibile la sua nuova identità.

Ma le cose peggiorarono ulteriormente già nel ‘42 e dopo nel ’43. Anche quelle famiglie furono costrette a scappare dalla guerra e così anche Maria e la madre diventarono profughi, senza una fissa dimora, vagando di paese in paese per sopravvivere e mangiare qualcosa. Un giorno, più disperati di altri e vinti dalla fame, si fermarono a Puźniki, un villaggio contadino vicino a Koropiec. Bussarono ad una porta a caso. Era quella di Antonina Dzia łoszyńska, prima volta che si vedevano e conoscevano.

Maria lo racconterà molti anni dopo: "La porta si è aperta e c'era una donna che non ci aveva mai visti e viceversa. E ha detto: "Un ospite è una benedizione di Dio, per favore entrate. Se Santa Maria vi ha protetti finora e vi ha condotti a casa mia, significa che ho la responsabilità di aiutarvi e proteggervi". Antonina decise di accogliere tranquillamente madre e figlia, ben sapendo che probabilmente erano ebree. La disperazione negli occhi era un messaggio inequivocabile per chi ha cuore e mente aperti.

Nel villaggio tutti sospettavano, ma nessuno parlava, nessuno chiedeva. Anzi verranno poi a sapere che non erano le uniche in quelle condizioni: il parroco locale già da tempo aiutava ‘i bisognosi’ (soprattutto donne con bambini in fuga) a procurare documenti falsi e contraffatti.

Tutto procedette bene fino al ’44: madre e figlia aiutavano la signora Antonina Dzia łoszyńska nei lavori casa e di campagna (i suoi due figli, una femmina ed un maschio erano lontani causa la guerra, anche loro chissà dove e chissà se ancora vivi) e alla domenica non mancavano mai alla messa settimanale. Ma già nella primavera del ’44, soprattutto dai primi di aprile – 81 anni fa proprio di questi giorni - le ispezioni delle truppe naziste diventarono di giorno in giorno più frequenti e feroci: volevano prendere ogni ebreo, specie se nascosto o camuffato con l’inganno.

Auschwitz era vicino. Non importava se fossero solo donne o bambini. Il loro Fuhrer aveva insegnato che gli ebrei dovevano essere eliminati dalla terra, sterminati, cancellati. Erano macchine da guerra, creati nell’odio per l’odio. Non persone.

Ma la solidarietà non venne a cessare. Anzi. Per non sbagliare ogni volta che stavano per arrivare i tedeschi, qualcuno accompagnava Adela e la piccola Maria – come altri ebrei – nei boschi che circondavano Puźniki. Avvenne più volte e sempre con successo.

Ma ai primi di agosto un giovane ufficiale nazista venne dal Comando assegnato come domiciliazione fissa nella casa di Antonina. Avrebbe abitato lì, con le due donne e la piccola Maria. Succedeva spesso che i migliori uomini del Fuhrer, se ufficiali, fossero premiati in questo modo.

Non fu difficile per il nazista capire meglio la situazione, vivendo dentro le medesime quattro mura. Un giorno verso fine agosto chiamò a sé Maria e la sedette nel suo grembo. Aveva sette anni allora. "Ero seduta sulle sue ginocchia quando mi ha abbracciato e mi ha detto di avere una figlia come me. E che portava anche le trecce. Poi mi chiese qualcosa e io gli risposi in lingua ebraica”.

Sono ancora memorie di Maria come la scena successiva, sotto gli occhi disperati della madre, che aveva visto e capito tutto. I nazisti erano stati istruiti per bene al fine di scovare i nemici, anche se risultavano solo bambini e vedove. All'improvviso, l’ufficiale nazista infatti si alzò di scatto e andò nella sua stanza.

La madre Adela disse allora alla piccola Maria, senza nemmeno alzare la testa: "Deve essere andato a prendere la sua pistola". Disperazione totale.

Pochi secondi dopo il tedesco ritornò indietro. Guardò la bambina, guardò la mamma e con voce sicura e con una busta in mano rivoltosi a Adela disse: “Questa è una lettera per mia moglie. Se ti prendono o ti portano a Vienna, gli ho chiesto di prendersi cura di te."

Non fu necessario. I nazisti poco dopo scapparono da quelle zone e Maria e Adela ritornarono ad essere libere e recuperarono il cognome originario. A Breslavia nella Polonia occidentale si rifecero una vita. Poi verso il 1970 si spostarono in Israele, a Tel Aviv.

Ma non avevano dimenticato il passato e si misero a cercare quella famiglia polacca e quel giovane tedesco. Solo molti anni dopo Maria (ora Maria Ldowski-Krum) e la madre Adela sono riuscite a ritrovare la signora Antonina Dzia łoszyńska (ora Antonina Działoszyńska), conoscendone anche i figli, la più grande Czesia ora Czesława e il minore Janek, salvatisi dalla guerra.

Non solo: per iniziativa di Maria nell'ottobre 1981 Antonina Działoszyńska ha ricevuto, postuma, il titolo di 'Giusta tra le nazioni' dallo Yad Vashem di Gerusalemme. Maria voleva almeno che Czesława ricevesse l'onorificenza per la madre. Ma sfortunatamente anche lei morì poche settimane prima di riceverla. Non si seppe più nulla, malgrado le ricerche, invece dell’ufficiale nazista, nemmeno sfruttando quella lettera che la madre ricevette di persona.

Maria Ldowski-Krum ha vissuto la sua vita come professoressa per ben 36 anni (insegnava ebraico e Bibbia) e quella tragica esperienza della guerra le ha fatto comprendere che non tutti gli uomini sono animali e, talvolta, sotto la divisa esiste anche un cuore. Non si deve mai generalizzare. Come più volte diceva, lei non provava nessun odio e nessun disprezzo verso i tedeschi ma, soprattutto, tanto amore verso la sua gente di Polonia. Per questo ha deciso – a differenza di altri – di non emigrare mai in Israele e restare per sempre polacca.

Maria in quella guerra ha imparato il senso della parola solidarietà, parola difficile, molto temuta, anche oggi, anche nel nostro mondo moderno e digitale. E non serve aver studiato Noam Chomsky che in questo tempo più volte, con parole appropriate, lo ha scritto: “La solidarietà rende gli individui difficilmente controllabili e impedisce che diventino un soggetto passivo nelle mani dei privati. Quindi occorre una macchina propagandistica che corregga ogni deviazione dal principio della soggezione ai sistemi di potere.”

Se per Giorgio Gaber, faro della mia gioventù con Fabrizio De André, 'la libertà è partecipazione', nel mio piccolo posso affermare che 'la solidarietà è rivoluzione'. (...)

3 aprile 2025 - 81 anni dopo - liberamente tratto dal mio 'L'ultimo viaggio da Vò Vecchio ad Auschwitz - storie brevi' - Ed. AliRibelli - 2024

* Coordinatore Commissione Storia e Memoria dell'Osservatorio


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