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I bambini di Gaza
di
Rossella Ahmad
Non ci vedevamo da tre settimane. Fatti gravi ed incresciosi ed inoltre debilitanti influenze incrociate ci avevano tenuto distanti. Un tempo lunghissimo per chi, come noi, trovava sollievo nel sostegno reciproco, nel solo vedersi. Ed esserci.
E quindi, complice una temporanea normalizzazione delle situazioni di cui sopra ed una ripresa pressoché completa dai malanni, ho potuto nuovamente godere della vicinanza dei più esimi rappresentanti della Palestina nel nostro paese, i piccoli sopravvissuti al filo di spada di Erode.
Prima dell'iftar, c'è stato l'incontro con una giovane giornalista locale, simpatizzante della causa palestinese, che aveva chiesto con garbo di intervistare i miei gazawiti, ma solo se realmente se la sentissero.
Brevi domande, sempre le stesse.
Brevi risposte, sempre le stesse.
Un intero mondo da raccontare che è ignoto ai più, anche a coloro che sommariamente sanno ed umanamente empatizzano con la sofferenza di un popolo innocente. Impossibile farlo, nel ristretto tempo di un'intervista, tra bambini che giocano ed adulti concentrati sull'uso delle parole. Perfino sui toni da utilizzare, tanto è l'imbarazzo nell'approcciarsi ad una tragedia vivente di cui tutti ci sentiamo responsabili. Ma ci proviamo, perché non è vero che le parole non servono, o non servono più.
Raccontare è importante. Offrire una visione diversa rispetto alle contraffazioni mediatiche che da trent'anni avvelenano la percezione di un mondo a noi tanto vicino eppure ignoto è essenziale, oggi più che mai.
Le parole danno tutto il senso di ciò che è accaduto, lo imprimono con una forza incredibile.
- Come ci si sente ad avere perso tutto?
- Ci si sente come un pezzo di legno alla deriva, costantemente risucchiato dalle onde
- Come stanno i bimbi?
- I detriti respirati ed ingoiati mentre erano sotto le macerie hanno causato danni. Polveri sottili, forse venefiche, annidate nei polmoni e nello stomaco hanno causato un inverno di difficoltà respiratorie, raffreddori e reflussi gastroesofagei.
Suggerisco io una domanda, quella che in privato mi viene rivolta più spesso
- Ma a Gaza, le donne erano libere? Non si trattava di un Afghanistan in piccolo?
Gli occhi sgranati della nostra ospite conferiscono forza alle parole, impetuose:
- In Palestina, a Gaza, non c'è mai stato spazio per nessun fondamentalismo, mai. Le uniche libertà venute meno ci sono state sottratte dall'occupazione, dai nostri carcerieri.
I racconti sulla Gaza che fu diventano come un fiume in piena. C'è incredulità nel confrontarsi con una realtà completamente artefatta, mai sperimentata, e c'è disagio nel pensare che essa possa essere ritenuta possibile, plausibile. Eppure c'è chi ci crede. Chi non ha ancora compreso come tutto ciò sia funzionale all'assassinio impunito di un popolo.
È il momento dell'iftar. Ghorme sabzi con riso tadig in crosta di patate, che i bambini fanno volare fino al soffitto.
Le notizie che giungono da Gaza smorzano il piacere del cibo condiviso. Quasi mille morti in un giorno, duecento gli infanti trucidati. Sono davanti a me, li vedo e li tocco. Hanno occhi grandi e profondi, sguardi che ti penetrano l'animo e lo sciolgono.
I bambini di Gaza.
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