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21 marzo 2025
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Grazie a Dio abbiamo il cancro
di Alessandro Ferretti

Oggi Israele, oltre ai consueti crimini quotidiani, ha deciso di far saltare in aria l’unico ospedale oncologico di tutta la Striscia di Gaza.

Ovviamente l’esercito genocida aveva già provveduto a provocarne la chiusura a novembre 2023, tramite il blocco totale del carburante. L’aviazione si era comunque premurata di bombardarlo un po’, giusto per andare sul sicuro, e in seguito l’esercito criminale ne aveva usato gli edifici ancora in piedi come sua base.

L’ospedale era stato abbandonato dalle forze di occupazione da pochi giorni, che oggi hanno pensato bene di raderlo al suolo. La motivazione? “Tanto non era in uso” (sic!) e poi, come al solito, ”era una base di Hamas”. Non sono state fornite prove di questo uso, e il motivo è evidente: le immagini mostrano chiaramente che l’edificio non e stato bombardato (come affermato dall’esercito), bensì distrutto tramite una demolizione controllata.. il che implicherebbe che i genieri dell’esercito più codardo del mondo siano andati di persona dentro una base operativa di Hamas a collocare esplosivi in giro, del tutto indisturbati. Bugie, bugie, bugie.

Ma se l’ospedale non era una base di Hamas, perché Israele si è preso la briga di demolirlo e di mentire spudoratamente al proposito?

È semplice: la demolizione dell’ospedale è nient’altro che l’ennesima operazione terroristica, volta a dimostrare alla popolazione di Gaza che non può nutrire alcuna speranza e che Israele può commettere ogni sorta di crimine e diffondere ogni tipo di falsità nella più completa impunità e indifferenza degli alleati di Israele (tra i quali l’Italia è ormai uno dei più fedeli e servili), in modo da spingere all’”emigrazione volontaria” almeno una parte della popolazione.

I frutti devastanti e disumani di questa campagna terroristica senza precedenti storici ce li racconta il dottor Ezzideen, un giovane medico di sensibilità e umanità straordinarie, riportando una testimonianza che, nonostante un anno e mezzo di orrori sempre più efferati, lascia senza parole anche l’animo più indurito: malati terminali di tumore che vivono il loro male come una benedizione.

Fatela leggere agli indifferenti, metteteli di fronte alle conseguenze della loro ignavia. Nessuno potrà dire che non sapeva.

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“Riesci a scandagliare l'abisso in cui viviamo?

Due giorni fa, l'Organizzazione Mondiale della Sanità è riuscita a evacuare una manciata di pazienti oncologici da Gaza. La maggior parte di loro si trovava nelle fasi terminali della malattia, ciò che la comunità medica definisce come casi palliativi, in cui non è più possibile un trattamento curativo.

I loro corpi sono stanchi, le loro prognosi infauste. In termini clinici, la chiamiamo malattia allo stadio terminale. Ma a Gaza, la chiamiamo un biglietto d'uscita. E qui giace la vera, indicibile tragedia: alcuni di loro sussurravano: "Grazie a Dio abbiamo il cancro. Ci ha dato una via d'uscita. Una via per fuggire da questo posto, da questo assedio infinito di paura e morte".

Riuscite ad afferrare il peso di queste parole? Capite cosa vuol dire, se la malattia più spietata conosciuta dalla medicina è diventata non una maledizione, ma una strana e crudele fortuna perché apre una via per andarsene?

Che tipo di mondo abbiamo costruito, dove la salvezza giunge ammantata di sofferenza? Che tipo di incubo bisogna vivere per vedere la malattia terminale come speranza?”

Ezzideen Shehab

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