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Vecchioni ancora irricevibile
di
Rossella Ahmad
Dell'ex professore di liceo prestato alle marchette musicali avevo già parlato qualche settimana fa, rimembrando il suo exploit antecedente a quello di sabato. Una scenetta indegna, in cui forniva la sua personale lectio magistralis su cosa fosse un genocidio e cosa no, e ovviamente quello a Gaza non lo era - ecco il motivo di tanta solerzia nello spiegare alle masse semicolte il come, il quando ed il perché dei genocidi "veri", quelli in cui a morire era gente bianca - e lo faceva con un sorrisetto sardonico stampato sul volto attempato, a voler sottolineare che non di tragedia si trattasse ma di qualcosa su cui si potesse tutto sommato anche ridere.
La normalizzazione televisiva di un orrore che ci aveva catapultato tutti in girone infernale senza vie d'uscita e di cui sentivamo tutto il peso, enorme.
Il suprematismo eurocentrico che tutti abbiamo rilevato nella montagna di idiozie partorite dalla piazza pro-guerra dello scorso sabato partiva da lì. Dal considerare i popoli non europei incidenti di percorso in cui la civiltà superiore si è imbattuta suo malgrado, con cui si è dovuta confrontare suo malgrado e che, spesso, ha dovuto sterminare. Suo malgrado.
Sappiamo perfettamente perché quei suprematisti - ex sessantottini oggi uomini dello stato, ex-pacifisti convertiti in interventisti nel momento in cui, per sopraggiunti limiti di età, non avevano più nulla da rischiare, ex-rivoluzionari con la mangiatoia bassa ed ex-comunisti con la fascinazione per gli attici ai Parioli - erano lì. Per difendere i propri privilegi in punta di fucile. Ed utilizzare, allo scopo, la vita ed il futuro delle generazioni più giovani, a cui addossare il peso, economico, morale e forse fisico delle proprie perversioni reazionarie.
Dei propri errori, ha chiosato il marchettaro di cui sopra, con una inedita quanto veritiera confessione di fallimento a tutti i livelli - solo di segno completamente inverso rispetto a quanto tentava di spiegare. Ma lo abbiamo già detto altrove, le parole non coincidono più con i significati che abbiamo ad esse attribuito. Non hanno più senso. È il capovolgimento del logon didonai, la sua negazione. La neolingua orwelliana, di cui abbiamo parlato così tanto da averne nausea, mai così pregnante, esplicita, evidente nel suo scaltro opportunismo.
Non mi soffermerò più di tanto sulle parole inutili, le frasi a doppio e triplo senso, la certificazione di confusione mentale partorite dalla piazza pro-guerra . Abbiamo ben compreso che l'Ucraina è per essa solo la vittima sacrificabile sull'altare dei loro privilegi di classe, ottenuti e mantenuti mediante il sostegno ad una oscena oligarchia globale che ufficialmente da un lustro è impegnata con alacrità nella distruzione del patto sociale e dello stato di diritto. E sempre dalla stessa parte lì troverete.
Una ultima considerazione, prima di tornare con la mente e con il cuore al macello di Gaza che nuovamente si appropinqua - sostenuto proprio da quella piazza che faceva strame di concetti universali quali il diritto ed i valori, forse inutile alla luce dei fatti ben più gravi di cui occorrerebbe parlare. Porre paletti e steccati in un ambito come quello culturale equivale a sancire urbi et orbi che nulla si è compreso della vita, dell'umanità e della cultura stessa.
Il fritto misto di nomi sciorinati senza alcun senso logico, la stragrande maggioranza dei quali non avrebbe condiviso un solo iota di quello che la piazza esprimeva, e di cui ci si appropriava in una sorta di esaltazione mistica collettiva ad alto grado alcolemico, quasi si trattasse di "cosa nostra" e non del patrimonio condiviso dell'intera umanità, è francamente quanto di più imbarazzante io abbia avuto modo di udire. Coniugato poi alla difesa di una cancel culture che da anni ammorba il discorso pubblico occidentale resta ancora più indigesto nella sua irricevibilità e nella sua sostanziale ipocrisia.
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