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Siria: massacro degli alawiti favorisce Israele
di
Leandro Leggeri
L'uccisione di 1.225 civili alawiti da parte delle milizie governative e di jihadisti stranieri, attraverso esecuzioni sommarie e massacri in 47 località tra Latakia, Tartus, Hama e Homs, non è solo una tragedia umanitaria, ma rappresenta anche un'opportunità geopolitica per Israele.
Lo Stato ebraico, consapevole di non poter mantenere una presenza diretta e prolungata in Siria, ha la necessità di creare uno stato fantoccio nella regione, sul modello dello Stato del Libano Libero degli anni '80.
L'obiettivo finale rimane la balcanizzazione della Siria, un processo che Israele sta cercando di favorire dopo la caduta di Assad avvenuta l'8 dicembre 2024 per ridurre la minaccia rappresentata da un governo centrale forte a Damasco.
Il ministro degli Esteri israeliano Gideon Sa’ar ha esplicitamente dichiarato che la stabilità della Siria può essere garantita solo attraverso una federalizzazione del Paese, un modello che consentirebbe di frammentare il potere centrale e creare entità autonome su base etnica e settaria. Questa prospettiva, se attuata, ridurrebbe drasticamente l'influenza di qualsiasi governo centrale ostile a Israele e faciliterebbe il consolidamento di zone d'influenza dirette e indirette.
Fino a oggi, una delle strategie principali di Tel Aviv è stata quella di avvicinare la comunità drusa, ma questo tentativo sembra essere definitivamente fallito. La recente decisione di Ahmed al-Sharaa di raggiungere un accordo preliminare con i drusi della regione meridionale di Suweida, oltre che con i curdi, ha di fatto chiuso questa possibilità per Tel Aviv.
A questo punto, rimane una carta da giocare: gli alawiti. Secondo un recente articolo di i24NEWS, alcuni leader alawiti avrebbero inviato una lettera al Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu, chiedendo la protezione del governo di Tel Aviv. Questo rappresenta un'opportunità strategica senza precedenti per Israele, che potrebbe sfruttare la situazione per rafforzare la propria influenza sulla costa siriana.
Uno degli strumenti più efficaci a disposizione di Israele potrebbe essere il sostegno alla Brigata dello Scudo Costiero, un gruppo armato alawita che, nonostante le pesanti sconfitte, non è stato completamente eliminato e ha trovato rifugio nelle zone montuose della regione. Fornire copertura aerea e supporto logistico a questa brigata, che si muove su un terreno montuoso e accidentato, caratterizzato da fitte foreste e alture che rendono difficili le operazioni militari convenzionali, potrebbe costringere le milizie di Hayat Tahrir al-Sham (HTS) a ritirarsi, consentendo la formazione di un'entità alawita autonoma lungo la costa.
La creazione di una enclave alawita lungo la costa siriana offrirebbe a Israele una serie di vantaggi strategici significativi. Innanzitutto, Latakia e Tartus rappresentano due centri nevralgici, ospitando basi militari strategiche. Un cambio di controllo in questa regione potrebbe ridurre drasticamente la capacità di qualsiasi nuova autorità centrale a Damasco di proiettare la propria influenza nel resto del Paese.
Inoltre, il controllo della fascia costiera permetterebbe a Israele di esercitare una maggiore pressione sul Libano, accerchiando Hezbollah e limitando le sue opzioni operative. Questo scenario potrebbe costituire un ulteriore strumento di pressione su Beirut, dove Hezbollah ha una presenza significativa e gioca un ruolo cruciale nelle dinamiche politiche e militari.
Più in generale, la creazione di una entità autonoma alawita contribuirebbe alla strategia israeliana di frammentare la Siria in più entità etniche e settarie, rendendo impossibile la ricostruzione di uno Stato unitario in grado di rappresentare una minaccia per Tel Aviv. In questo contesto, un accordo con gli alawiti potrebbe rivelarsi molto più vantaggioso rispetto ai tentativi falliti di coinvolgere i drusi, soprattutto considerando la posizione geografica della comunità alawita e il suo ruolo storico all'interno dell'apparato militare siriano.
Se Israele decidesse di sostenere questa strategia, potremmo assistere a un nuovo fronte di conflitto lungo la costa siriana, con un’intensificazione degli scontri tra le milizie jihadiste e i gruppi alawiti sostenuti da Tel Aviv. Inoltre, il coinvolgimento israeliano potrebbe spingere l'Iran e la Russia a ricalibrare la loro presenza nella regione, alterando ulteriormente gli equilibri di potere in Medio Oriente.
Tuttavia, finché Mosca continuerà a tollerare le operazioni israeliane contro obiettivi iraniani e di Hezbollah, Tel Aviv potrà agire con maggiore libertà e consolidare le proprie posizioni senza il timore di un confronto diretto con la Russia.
In definitiva, la crisi in corso offre a Israele un'opportunità unica per avanzare i propri interessi strategici, ma resta da vedere se Tel Aviv sarà disposta a impegnarsi attivamente in questo nuovo scenario o se preferirà mantenere un coinvolgimento indiretto, limitandosi a fornire supporto militare e logistico alle forze sul campo. La federalizzazione della Siria, come auspicata dal ministro degli Esteri Gideon Sa’ar, potrebbe rappresentare il quadro politico ideale per Israele, permettendo di consolidare alleanze locali e indebolire definitivamente ogni tentativo di ripristinare un'autorità centrale forte a Damasco.
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