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08 marzo 2025
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8 marzo: la resilienza di Laila
di Armando Reggio

Una madre lotta per il figlio perseguitato, che resiste per il migliore degli ideali. E' il Gramsci d'Egitto. Quell'Egitto di Al-Sisi, amico del nostro governo!

Docente di matematica all’Università del Cairo, 68enne, Laila Soueif è nota, in Egitto e negli ambienti internazionali in difesa dei diritti umani, per il suo impegno politico militante.

Non altrettanto note, invece, sono le sue importanti ricerche nel suo campo professionale, pur se, grazie alla sua competenza scientifica, é da decenni un punto di riferimento per generazioni di studenti.

"Ricordo chiaramente il giorno in cui scoprii questa sua dimensione accademica - scrive Patrick Zakl -: durante un incontro all’università in cui si discuteva la situazione politica post-rivoluzionaria, alcuni studenti si avvicinarono a lei non per parlare di politica, ma per chiederle aiuto con equazioni complesse. Questo episodio mi fece riflettere su quanto fosse straordinario il suo esempio: una donna capace di coniugare impegno intellettuale e militanza politica, diventando una guida non solo nella lotta per la giustizia, ma anche nella ricerca. Da ultimo, per 153 giorni il mondo ha seguito con angoscia crescente il suo sciopero totale della fame, un atto di estrema resistenza tentato da questa donna di 68 anni per salvare suo figlio, Alaa Abdel Fattah, incarcerato ingiustamente dal regime egiziano. Solo ieri, a causa dell’aggravarsi delle sue condizioni fisiche ma anche, ha fatto sapere, sulla scorta della speranza che i tanti messaggi di solidarietà ricevuti le hanno trasmesso, ha accettato di passare dallo sciopero totale della fame a quello parziale".

Così, é nella resistenza civile, lottando strenuamente per i diritti civili, non solo da quando il figlio é perseguitato dal regime di al-Sisi. Ma da prima, molto prima. Sopravvive a Londra: il suo Alaa ha anche il passapirto britannico.

Ma il Governo, fatto inizialmente qualche timido passo, si è presto ritirato in buon ordine.

"È una stimata matematica e professoressa di fisica alla facoltà di Scienze dell’Università del Cairo - prosegue Zaki -: sta opponendosi con il suo corpo, la sua salute e la sua vita all’insistenza del regime nel tenere suo figlio in prigione per sempre. Ha sempre ricordato che il padre di Alaa è morto in prigione e che suo nipote è cresciuto e vive con suo padre in carcere, mentre la famiglia non è mai riuscita a riunirsi senza barriere o prigioni".

Laila Soueif, combattente infaticabile, é la madre di Alaa Abd El-Fattah, perseguitato dal regime come Patrick Zaki, ma da molto più tempo e - si teme - ancora per il futuro. Le accuse - che coincidenza! - sono le stesse mosse al ricercatore di Bologna: terrorista, sovversivo.

Nel suo libro dal titolo inequivocabile "Non siamo ancora stati sconfitti", si legge: "Non ti toglieranno dalla storia finché sarai capace di parlare, non ti esilieranno nel passato finché sarai capace di ascoltare. Ma in quale presente abiti? Abita nei sogni dei tuoi compagni e negli incubi dei tuoi nemici, vivi in un futuro non ancora realizzato, vivilo come un’ombra, un monito, un ricordo. Ricorda loro che il presente non era inevitabile prima di diventare realtà. Non perderti nel chiederti perché quel futuro possibile non si sia realizzato'".

Il suo "Non sei stato ancora sconfitto" ha una duplice valenza: affermare la propria resistenza in patria e invogliare chiunque nel mondo patisca la repressione politica a non arrendersi, a lottare.

Nonostante gli stati formalmente democratici perseguano politiche ambigue sui diritti umani o li ignorino pienamente, Alaa non desiste. Eppure seri motivi di sconforto ne ha: l'inerzia dei Paesi occidentali, compresa la Gran Bretagna di cui è cittadino, aggravata dal silenzio dei media e la persecuzione del regime di al-Sisi, che per un decennio ha affrontato a testa alta fra carcere e sorveglianza. E affronta ancora.

Nei brevissimi periodi di rilascio era libero solo 12 ore al giorno, sorvegliato, peraltro, dalla polizia, mentre nelle altre 12 ore veniva recluso in un centro di detenzione ufficiale. Rilascio-farsa.

Questo trattamento "di riguardo" gli era riservato nel passato, ma oggi il suo stato è ben peggiore: è stato nuovamente arrestato a causa di alcuni suoi post, in cui denunciava gli abusi in una stazione di polizia su una persona, abusi per i quali questa era morta. È stato condannato a cinque anni di prigione per "diffusione di notizie false". Non subito, però, ma ben due anni dopo la carcerazione preventiva, che in Egitto è comunissima (noi non siamo messi così tanto meglio, va detto).

L'ONU ha poi definito il processo "inadeguato": cinque anni di carcere per "diffusione di notizie false". Così viene considerato un post, che denunciava le torture nei posti di polizia.

Ma non è finita qui: Alaa rimane in carcere, pur essendo trascorsi i cinque anni di detenzione, poiché i due anni preventivi non sono stati computati, contravvenendo alla stessa legge egiziana.

In questo quadro drammatico mamma Laila, con la sua lotta estrema, mette a serio rischio la propria vita per quella del figlio.

La sua età di 68 anni, le condizioni di salute, la perdita di peso e gli effetti dell’astinenza alimentare, di certo non le giovano. Tuttavia, lavora normalmente all'Università e continua il suo volontariato nel sociale.

Lei determinata percorre la sua legittima strada, l'unica che la possa portare alla libertá del suo Alaa, in quel Paese tirannico. Fino alla fine, a costo della sua fine!

È madre, innanzitutto.

Mi piace immaginarla attraversare il suo dolore con le parole del suo Alaa nel cuore: "Il presente non era inevitabile prima di diventare realtà".

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