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8 marzo: ricacciate nel passato
di
Elisa Fontana
Abbiamo aspettato davvero tanto che potesse arrivare nei ranghi più alti delle istituzioni una donna che potesse rappresentare tutte le istanze femminili e anche femministe, per sottolineare autorevolmente quanta strada abbiano fatto le donne nell'ultimo secolo, quanti tabù abbiano infranto, quanta forza abbiano messo nella loro costante ricerca di visibilità e di parità.
Ma quando questa prospettiva in Italia è diventata finalmente realtà, ci siamo trovate dentro una realtà rovesciata. Ci siamo trovate di fronte ad una esponente politica che in quanto a questione femminile si è rivelata essere quanto di peggio noi donne potessimo aspettarci.
Siamo ripiombate in un passato che speravamo superato di donne visibili solo in funzione della maternità, della cura dei figli, della famiglia, degli anziani di casa, del marito che torna stanco a casa dopo il lavoro. Insomma di tutti i più terribili stereotipi che hanno sempre mirato a tenere la donna “al suo posto”: fattrice, madre, moglie.
Ci siamo ritrovate una presidente del consiglio che come primissimo atto ha rivendicato il fatto di essere chiamata “IL presidente del consiglio”, andando contro in un colpo solo alla grammatica e alla parità di genere, e come secondo atto ha formato un governo in cui il 75% sono uomini.
E per non farci mancare nulla è stata nominata anche una ministra di un ministero ribattezzato, in ordine di priorità, “per la famiglia, la natalità e le pari opportunità”. Ministra che svolge il suo ruolo infiltrando i Pro Vita negli ambulatori e negli ospedali con l'unico compito di dissuadere le donne dall'abortire, che prevede come unica famiglia quella eterosessuale, regolarmente sposata, in una società in cui i gay non hanno diritto a nessuna riconoscibilità e a nessun diritto, se non quello di nascondersi come nell'Italia di un secolo fa.
Insomma, la realtà è stata una totale retrocessione nella storia, nei diritti, nelle parole d'ordine, nei fatti, nell'aria irrespirabile, come non avremmo mai potuto immaginare.
Ma di fronte a tutta questa ufficiale e insopportabile retorica, ci troviamo ad assistere a comportamenti e realtà dei fatti totalmente opposti e contrastanti rispetto a quello che si sventola dai palchi e dalle tv. Convivenze, figli nati fuori dal matrimonio, separazioni e divorzi che cozzano terribilmente con le parole spese fino ad un attimo prima: il matrimonio e la sua indissolubilità, la famiglia, l'eterosessualità sbandierata sfacciatamente.
E, dunque, in un attimo si disvela l'enorme contraddizione fra la teoria e la prassi di vita, fra i vizi privati e le pubbliche virtù. Ma questa ipocrisia inaccettabile, messa in atto da donne che hanno un ruolo di grande visibilità per uno scopo meramente strumentale va sottolineata e denunciata, non può passare sotto silenzio, perché fa malissimo.
Fa male a tutte quelle donne che cercano da una parte di scalare la montagna della disparità con grande forza di intenti e chiarezza di idee e dall'altra forniscono una visione distorta della donna di potere rotta a tutti i peggiori “vizi” del mondo maschile.
E credo sia anche giunta l'ora di mettere fine a quella falsa questione della dovuta solidarietà femminile sempre e comunque. No, mi spiace, ma non riesco ad essere solidale con donne che hanno introiettato i peggiori tic e le peggiori ipocrisie del mondo maschile.
Non aiutano le donne ad avere indipendenza e pari opportunità, ma le rendono prigioniere in un recinto predestinato dal quale loro sono riuscite ad uscire, ma le altre donne che si arrangino.
Credo che queste cose vadano dette con chiarezza, soprattutto in un giorno che dovrebbe celebrare la forza, l'intelligenza, la sensibilità, la visione, la razionalità delle donne e il loro diritto-dovere ad essere pari a chiunque.
Non facciamoci fuorviare, non sono i posti di comando che possono trasformare una politica ideologicamente legata a tempi nefasti per tutti, ma particolare per noi donne, in una icona di grande ispirazione.
Noi siamo ben altro e abbiamo il dovere di rivendicarlo senza sconti per nessuno. Ogni giorno, ma oggi più che mai.
 
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