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07 marzo 2025
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Proteste studenti pro-Pal: codardia dei docenti nel difenderli
di Alessandro Ferretti

In qualità di professore universitario ho un punto di osservazione privilegiato sulla pressoché totale desolazione intellettiva e umana che è l’accademia al tempo del genocidio. La percentuale risibile di chi si è espresso pubblicamente contro la strage, le torture e la pulizia etnica e a favore delle intifade studentesche testimonia la completa bancarotta morale dei docenti, ancor più alla luce del fatto che la libertà di opinione dei professori è tutelata dalla legge al massimo grado possibile (molto più che per tutte le altre figure professionali) e che quindi hanno pochissimo da rischiare ad esprimersi secondo coscienza.

Eppure il silenzio nelle università è la norma, rotto solo da studenti consapevoli appoggiati da rarissimi docenti. E’ un silenzio figlio di molti fattori, ma tra di essi il principale è un’impressionante codardia. Per la grande maggioranza dei docenti universitari, ormai immersi in un’autoreferenzialità quasi assoluta, l’unico autentico interesse è quello di fare carriera e molti di loro sono chiaramente disposti a chiudere un occhio di fronte allo sterminio di moltitudini di innocenti pur di non inficiare le loro chances di progressione personale.

A testimoniare questa pusillanimità diffusa è l’ultimo episodio in ordine di tempo, che riguarda le proteste studentesche in corso presso la Columbia University di New York. Da mesi negli USA è in corso un terribile crackdown nei confronti degli studenti in agitazione, e giusto due giorni fa la polizia newyorkese ha fatto di nuovo ingresso nel campus malmenando gli studenti che stavano manifestando per chiedere la libertà del dottor Hussam Abu Safiya, arbitrariamente detenuto e torturato dall’esercito israeliano da oltre quattro mesi.

Alcuni poliziotti sono intervenuti con il pretesto di verificare un allarme bomba (diffuso all’uopo dall’amministrazione universitaria) attaccando i manifestanti, letteralmente calpestando dei giovani sul petto con violenza tale da richiedere cure ospedaliere e arrestandone nove. L’allarme bomba era talmente autentico che la polizia ha pensato bene di portare gli studenti arrestati... proprio nell’edificio in cui era stato segnalato l’ordigno!

Di fronte a questo abominio assoluto, alcuni professori hanno sentito il dovere di scrivere qualcosa: nulla che abbia a che fare con la critica al genocidio, beninteso, ma una presa di posizione contro la ferocia poliziesca.. peccato che non abbiano trovato il coraggio di leggerlo. Si legge infatti testualmente sul Columbia Spectator: ”Verso le 13:15, un manifestante ha letto una dichiarazione alla folla a nome di alcuni professori, che avevano troppa paura per leggerlo personalmente.”

Sì, avete letto bene. Come saprete, l’amministrazione di Donald “free speech” Trump ha lanciato un’ondata repressiva senza precedenti nei confronti delle proteste contro il genocidio, promettendo tra l’altro l’immediata espulsione dagli Stati Uniti degli studenti stranieri critici contro il massacro.

Inoltre, molti studenti hanno già subito indagini, provvedimenti disciplinari, sospensioni ed espulsioni dagli atenei: emblematico il caso di Maryam Alwan, sotto inchiesta per la gravissima colpa di aver scritto un op-ed sul giornale studentesco per chiedere l’interruzione degli investimenti della Columbia U. negli atenei israeliani.

Ebbene: in questo contesto disumano, tutto quello che gli accademici più motivati e sensibili sono disposti a fare è quello di chiedere a uno studente di leggere al posto loro una critica all’operato della polizia, esponendo così lo studente stesso alle conseguenze che vogliono evitare per loro.

Purtroppo questa deriva di conformismo e codardia non è solo una questione statunitense: negli atenei italiani si respira la medesima aria, con tanti personaggi che si compiacciono della loro posizione e si ritengono grandi luminari ma che hanno in realtà una statura morale prossima allo zero. Sembra che abbiano studiato sul “Libro del Cortegiano”, il manuale di Baldassar Castiglione scritto nel 1528 per formare il perfetto servitore del potere, modello di obbedienza e devozione.

Questa posizione è pienamente visibile anche di fronte alle proteste dei precari della ricerca, mobilitati ormai da mesi per cercare di contrastare una riforma universitaria che avrà conseguenze drammatiche non solo per loro, ma anche per tutto il sistema universitario. Mentre nel 2008 e 2010 un buon numero di strutturati degli atenei era sceso in piazza a fianco degli studenti contro i tagli di Tremonti e la riforma di Gelmini, adesso i professori sono quasi sempre assenti e distanti, evidentemente impegnatissimi a massimizzare le loro possibilità di carriera sfruttando proprio gli stessi precari che verranno falcidiati dalla riforma.

Questa incapacità di difendere la posizione di coloro che lavorano per loro evidenzia la seconda caratteristica precipua degli accademici attuali, subito dopo la codardia: l’incapacità di capire la realtà del mondo in che stanno vivendo subito al di là del loro naso, talmente clamorosa da lasciare letteralmente senza fiato.

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